
Le ultime sfide tra i due dominatori del circuito, e le statistiche di quelle partite, possono suggerire qualche istruzione per l’uso della finale di oggi. Con la necessaria avvertenza che si tratta di dettagli, sfumature, in una finale impronosticabile, tanto vale tirare una monetina per aria. Jannik Sinner gioca sempre in pressione, accelerando a ogni scambio, consapevole del fatto che nessuno come lui possiede una simile uguaglianza tra diritto e rovescio. Al Roland Garros, soprattutto nel terzo e nel quarto set, tentò più volte di «sfondare» Carlos Alcaraz sulla diagonale di dritto, sfidando il fuoriclasse spagnolo sul suo colpo più forte.
Cosa ci ha detto la finale del Roland Garros
Stava applicando la lezione di Novak Djokovic, piegare l’avversario di testa, togliergli sicurezza e certezze. Ma questo scontro a viso aperto ebbe come effetto collaterale il progressivo allungamento degli scambi. In un match finito con un solo punto di distanza tra vincitore e vinto, Jannik aveva prevalso 98-84 nei duelli sotto i quattro colpi, mentre era andato sotto, con identico scarto, in quelli compresi tra i 9 e 24 tiri. La generale sottovalutazione, anche estetica, alla quale di riflesso viene sottoposto Sinner di fronte alle meraviglie della sua nemesi spagnola, porta molti addetti ai lavori a dimenticare la sua capacità innata di chiudere il punto dentro il campo. Come sostiene lo stesso Djokovic, che qualcosa ne capisce, mai prima d’oggi si era visto un giocatore così forte nel capitalizzare il vantaggio ottenuto da una buona prima di servizio o da una risposta ben piazzata. Ogni volta che l’avversario accorcia, Sinner è una sentenza. Alla quale dovrebbe affidarsi servendo una buona percentuale di prime palle, requisito indispensabile per abbreviare, troncare e sopire Alcaraz.
Le differenze e la musica del futuro
Nel circuito, esiste ormai un atavico terrore per i «momenti» del fenomeno spagnolo. Il tennis prepotente ma razionale di Sinner, comunque sempre legato a un piano tattico ben preciso, rischia spesso di finire gambe all’aria per le improvvisazioni jazzistiche del rivale, fonte di meraviglia continua ma anche di un notevole dispendio di energie, alla base dei suoi frequenti saliscendi all’interno dello stesso match. A scatenarle, non è mai lo scambio stringato. Proprio come nel jazz, Alcaraz ha bisogno di suonare molto per trovare le note giuste da cui scaturiscono i suoi assoli. «Più il match diventa lungo e bello, più le sue possibilità aumentano» dice John McEnroe, che di estetica efficace se ne intendeva. La logica del tennis di Jannik funziona al meglio nella brevità, e da qui consegue la necessità di rendere il match essenziale, di raffreddarlo, mentre Carlos ha più interesse al fraseggio dal quale poi scaturiscono le sue micidiali improvvisazioni.
Ma questo non vale solo per i singoli episodi. L’idea di un Alcaraz più efficace nei momenti decisivi, che nasce dall’epilogo dei loro ultimi incroci, è una illusione ottica. I numeri dicono il contrario. Nei cosiddetti punti di pressione, Sinner è il giocatore più efficace del mondo, addirittura dominante con il servizio. Mentre lo spagnolo è decimo, confermando così una certa sua tendenza alla dissipazione. Jannik e Carlos sono agli antipodi anche come percentuale di riuscita nei match al quinto set. Con il suo 37,5 per cento, l’italiano, che non ha ancora vinto una partita sopra le quattro ore di durata, ha quella peggiore tra i top-ten, mentre Alcaraz ha quella migliore, un 13-1 macchiato solo dalla sconfitta di tre anni fa contro Matteo Berrettini, e reso possibile da una istintività dei gesti e delle scelte che forse comporta un minore dispendio di energie mentali. Come dimostra il Roland Garros, Carlitos può permettersi di «aspettare» la partita. Jannik deve andarla subito a cercare. E forse, l’erba potrà essere sua alleata. Comunque vada il concerto nella più bella arena del mondo, il suono del futuro è questo.
13 luglio 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA