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Il Conclave della Curia esautorata da Francesco: «Rimettere ordine»

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Per certi versi la situazione è speculare a quella dell’ultimo Conclave, preceduto dai mesi cupi di Vatileaks, un’atmosfera asfittica che si rifletteva nelle congregazioni segnate dal sospetto verso la Curia romana in generale e gli italiani in particolare: l’elezione di Bergoglio, nel 2013, ebbe l’effetto di chi apre porte e finestre in una stanza chiusa. 

Dodici anni più tardi, nelle discussioni tra cardinali dentro e fuori le congregazioni generali, ricorre l’esigenza di ritrovare punti di riferimento dopo la cura Francesco: che ha messo a dieta e riformato la Curia ma talvolta l’ha pure esautorata, magari agendo direttamente senza avvertire i suoi stessi collaboratori, come se in fondo il vecchio sospetto contro i «curiali», pure quelli scelti da lui, non fosse mai stato superato. Non si tratta di restaurazione, anche perché ne parlano porporati non sospettabili d’essere reazionari, ma di rimettere un po’ di ordine negli organismi di governo della Chiesa senza per questo smarrire l’impulso riformatore di Bergoglio.

Questione di equilibrio, proprio quello che le congregazioni dei cardinali stanno cercando di raggiungere in vista del Conclave che si riunirà dalle 16.30 del 7 maggio. Proprio ieri è stato confermato che due dei 135 elettori non parteciperanno al voto nella Sistina per motivi di salute, il che significa che al momento gli elettori sono 133 e il quorum di due terzi per eleggere il nuovo Papa si abbassa da 90 a 89 voti. Non che cambi granché: poiché gli elettori non sono mai stati così numerosi, ben al di sopra del limite teorico di 120 stabilito da Paolo VI, pure la soglia dei consensi minimi necessari non è mai stata così alta. Le regole definite dalla Universi Dominici Gregis di Giovanni Paolo II impongono un consenso vasto. Non un compito facile, tanto più in un Conclave multipolare composto da cardinali di 71 Paesi talvolta remoti, uomini che in molti casi stanno cominciando a conoscersi soltanto in questi giorni.

Naturale che fin dalla vigilia siano emersi i profili dei cardinali più conosciuti, almeno sulla carta capaci di raccogliere fin dall’inizio decine di consensi, a cominciare dal Segretario di Stato Pietro Parolin, che tra l’altro sarà il Decano nel Conclave e presiederà le operazioni perché sia il Decano del collegio cardinalizio Giovanni Battista Re sia il vice Leonardo Sandri sono ultraottantenni e non entreranno nella Sistina.

Ma nulla è scontato, in un Conclave. Storicamente, il rischio è che i candidati più votati si blocchino dopo i primi scrutini. Magari si arriva a quaranta voti, a cinquanta, e poi non si va oltre. È in questa fase che possono subentrare nomi che all’inizio non erano considerati favoriti. Già durante le congregazioni, del resto, possono emergere personalità che alla vigilia, almeno all’esterno, non erano state considerate. 

In questi giorni, ad esempio, si sta affermando anche il nome del cardinale Fernando Filoni, 79 anni, collaboratore stretto degli ultimi tre Pontefici e attuale Gran Maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro. Grande diplomatico, già Sostituto e prefetto di Propaganda Fide, durante la seconda guerra del Golfo fu l’unico ambasciatore occidentale a rimanere a Bagdad sotto i bombardamenti americani. In generale, si guarda a quelle figure che per la loro storia ed esperienza possono essere capaci di tenere assieme le differenze.

Le polemiche che hanno scandito il pontificato di Francesco appartengono alla storia e le «curve» contrapposte appaiono residuali. Piuttosto, le congregazioni — ieri c’erano 168 cardinali, tra i quali 124 elettori — stanno affrontando una serie di temi, dal «ruolo della Chiesa nel mondo di oggi e le sfide che si trova ad affrontare» alle questioni economiche. Come spiega un cardinale, «si tratta di valutare il positivo e il negativo della situazione presente: e scegliere, in base a questo, la persona più adatta a occuparsene».


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29 aprile 2025 ( modifica il 29 aprile 2025 | 23:20)

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