Home / Esteri / Il colloquio faccia a faccia dentro la basilica di San Pietro: e dopo le urla ora Trump ascolta Zelensky

Il colloquio faccia a faccia dentro la basilica di San Pietro: e dopo le urla ora Trump ascolta Zelensky

//?#

Dalle urla nello Studio Ovale due mesi fa al raccoglimento, occhi negli occhi, sotto gli affreschi di San Pietro. Dopo la sua cacciata dalla Casa Bianca, Volodymyr Zelensky è tornato a incontrare Donald Trump, parlandogli quasi sottovoce prima della cerimonia per papa Francesco nell’atmosfera rarefatta della basilica. E stavolta, se non altro, è riuscito a farsi ascoltare.

Dall’Air Force One, di ritorno negli Stati Uniti, il presidente americano ha affidato a un post quello che sembra il suo ennesimo cambio di prospettiva dopo i quindici minuti con il leader di Kiev: «Non c’era ragione perché Vladimir Putin lanciasse missili sui civili negli ultimi giorni — ha scritto —. Mi fa pensare che forse (il presidente russo, ndr) non vuole la pace». Del resto era stato lo stesso Trump a volere l’incontro a San Pietro senza cerimoniale né testimoni. Di nessun tipo. In uno spazio vuoto della cattedrale inizialmente i prelati vaticani avevano sistemato tre sedie e si era avvicinato anche Emmanuel Macron, dopo un veloce capannello che aveva incluso il britannico Keir Starmer; ma Trump — ripreso in un breve video — sembra spiegare al leader di Parigi che vuole parlare a Zelensky da solo, mentre Zelensky annuisce. Di certo il presidente francese e quello ucraino parleranno a lungo poco dopo «del percorso verso una tregua», nei giardini dell’ambasciata di Parigi in Vaticano a Villa Bonaparte. Poi Zelensky attraversa il centro di Roma per confrontarsi con Starmer nello spettacolare parco archeologico dell’ambasciata di Londra a Villa Wolkonsky e quindi, ancora, fino a Palazzo Chigi da Giorgia Meloni (di cui il leader ucraino apprezza, ha detto, «la posizione chiara e di principio»). Prima ancora in Vaticano i colloqui con i cardinali Pietro Parolin e Matteo Maria Zuppi.

L’incontro con Trump era stato preparato con cura, a Kiev. Serviva a inserire nel puzzle di un accordo di pace i pezzi senza i quali l’Ucraina non potrà mai firmare perché il suo disegno, per ora, serve solo al Cremlino. C’è l’impegno degli Stati Uniti ad accettare il controllo russo dei territori occupati da Mosca; a non lasciar mai entrare l’Ucraina nella Nato; e a riconoscere lo status della Crimea come ufficialmente russa. Da Washington si lasciano filtrare alcune parziali rassicurazioni: né Kiev né altre capitali europee dovrebbero riconoscere la Crimea quale parte della Russia — si è detto — né dovrebbero rinunciare alla candidatura ucraina nella Nato; inoltre, dagli Stati Uniti si fa capire che una futura amministrazione potrebbe sempre cambiare posizione su entrambe le questioni.

Zelensky, quanto a questo, non si fa illusioni. Da oltre un anno riconosce che il suo esercito per adesso non è in grado di recuperare la Crimea o gli altri territori occupati e nei giorni scorsi lo ha ripetuto. Ma ieri a San Pietro deve aver fatto capire a Trump che per l’Ucraina accettare un accordo come quello abbozzato fra Mosca e Washington sarebbe suicida, perché il Paese imploderebbe politicamente e sui confini diventerebbe più vulnerabile al prossimo attacco di Mosca. Piuttosto, secondo il New York Times, il leader di Kiev ha un piano di cui fanno parte altri tre capitoli: garanzie di sicurezza grazie al dispiegamento di un «contingente europeo» (con sostegno logistico americano, richiesto a gran voce da Londra); diritto per Kiev di mantenere un esercito senza restrizioni; e l’accesso alle riserve congelate della Russia per circa 300 miliardi di euro, in modo da finanziare la ricostruzione e una robusta difesa antimissile.

Si tratta di punti essenziali per una pace che tenga, ma proprio per questo restano poco accettabili dal Cremlino. Putin continua a rifiutare qualunque garanzia di sicurezza a favore di Kiev o il diritto dell’Ucraina a mantenere un esercito capace di difendere i confini; inoltre, punta ancora ad un allentamento delle sanzioni in base al quale Mosca recuperi le sue riserve congelate, prospettando agli emissari di Trump acquisti di Boeing americani con parte di quei fondi. Zelensky e Trump capiscono però che almeno un fattore oggi mette Putin sotto pressione: il crollo del prezzo del petrolio a causa dei dazi fa sì che il greggio russo si venda oggi a circa 50 dollari a barile, mentre il bilancio di Mosca prevederebbe di finanziare lo sforzo di guerra con un prezzo medio di 69,7 dollari nel 2025; intanto i soldati a contratto del Cremlino costano sempre di più, ormai non riescono ad avanzare in Ucraina, mentre continuano a registrare oltre mille fra morti e feriti ogni giorno.

La tregua resta dunque un rompicapo, mentre la guerra è insostenibile. Fuori da San Pietro, Zelensky ha scritto che l’incontro con Trump ha il «potenziale» per diventare storico «se otteniamo risultati congiunti». Il rischio è sempre lo stesso: che il tycoon abbandoni il negoziato (e l’Ucraina) in caso di stallo. Forse per questo Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ieri ha tenuto a rassicurare Zelensky: «Conta sul nostro sostegno per una pace giusta e duratura».

27 aprile 2025

27 aprile 2025

Fonte Originale