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Il cold case della yogurteria: quattro ragazzine nude, uccise con un colpo alla testa e bruciate. «Le foto ti perseguiteranno per tutta la vita»

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Austin, Texas. È il 6 dicembre 1991, manca poco alla mezzanotte, quando un agente di polizia nota del fumo uscire da una yogurteria vicino alla caserma. Sul posto si recano i vigili del fuoco. Dopo aver domato l’incendio, trovano sul retro i corpi di quattro ragazzine quasi totalmente carbonizzati. Hanno tutte una ferita d’arma da fuoco alla testa, sono nude e legate a gambe e braccia con la propria biancheria. Hanno tra i 13 e i 17 anni.

A 34 anni di distanza, le morti di Eliza Thomas, Jennifer Harbison, Sarah Harbison ed Amy Ayers sono ancora senza un colpevole. In realtà due uomini furono condannati, ma in seguito la condanna venne annullata, lasciando gli omicidi irrisolti.

Il caso del documentario «The Yogurt Shop Murders»

Ricostruire quanto accaduto quella notte, sentire i testimoni, rivedere vecchi filmati e confessioni, è stato emotivamente difficile perfino per la troupe che ha lavorato al documentario Hulu «The Yogurt Shop Murders», per cui non è ancora prevista la distribuzione in Italia. Riguardare le immagini della scena del crimine è stato così doloroso, che la produzione ha pagato alla troupe alcuni incontri terapeutici.

In un’intervista aVariety la regista Margaret Brown, originaria di Austin, ha raccontato: «Ho visto alcune foto della scena del crimine, sono davvero brutte. Non le ho viste tutte perché i miei collaboratori mi hanno detto: “Ti perseguiteranno per il resto della tua vita”. La casa di produzione ha pagato parte della terapia perché è stata davvero dura. È stato difficile vivere in quell’oscurità per così tanto tempo».

Cosa successe il 6 dicembre 1991

Poco prima della mezzanotte di venerdì 6 dicembre 1991, un agente del dipartimento di polizia di Austin nota un incendio all’interno di uno dei negozi della catena I Can’t Believe It’s Yogurt. Dopo aver spento le fiamme, i vigili del fuoco trovano nel magazzino sul retro i corpi senza vita di quattro ragazzine, quasi totalmente carbonizzati.

«Quando sono entrato c’erano ancora i vigili del fuoco – racconta nel primo episodio del documentario John Jones, ex investigatore della squadra omicidi del dipartimento di polizia di Austin -. C’erano acqua, vapore e fumo ovunque. Quando ha iniziato a diradarsi abbiamo visto i corpi, tre vicini, uno più lontano». Le ragazzine sono state spogliate e legate usando la loro biancheria, poi sono state uccise con un proiettile calibro 22 che le ha raggiunte alla testa, prima che il negozio venisse dato alle fiamme. Sulla scena del crimine sono stati ritrovati anche i proiettili di un’altra pistola: una calibro 380. L’atrocità della scena ha fatto pensare subito agli agenti che il delitto fosse stato commesso da almeno due persone.

Le vittime sono Eliza Thomas e Jennifer Harbison, entrambe di diciassette anni, dipendenti del negozio; Sarah Harbison, sorella minore di Jennifer, di quindici anni, ed Amy Ayers, migliore amica di Sarah di tredici anni. Jennifer era andata a prendere la sorella ed Amy al centro commerciale vicino e le aveva portate in negozio; le avrebbe poi riaccompagnate a casa dopo la chiusura, prevista per le 23.

Il Dna maschile sul corpo di Amy Ayers

Il corpo di Amy Ayers fu ritrovato più lontano da quello delle amiche, aveva «un panno simile a un calzino» intorno al collo, è stata probabilmente l’ultima a essere stata uccisa. Sul suo corpo, ritrovato non carbonizzato ma con gravi ustioni, c’era una seconda ferita d’arma da fuoco e un foro d’uscita all’altezza della guancia laterale.

Su di lei fu ritrovato anche del Dna maschile mai identificato. Un elemento chiave, se non per risolvere il caso, almeno per scagionare gli unici due condannati. Il Dna fu identificato  nella cavità vaginale della ragazzina. Gli investigatori confermarono poi che almeno una delle vittime era stata aggredita sessualmente.

Gli omicidi di Austin del 1991 hanno traumatizzato la troupe che stava lavorando al documentario: la storia di un caso irrisolto

Maurice Pierce e i due arresti in Messico

Nell’autunno del 1992 vengono arrestati in Messico due uomini ricercati per rapimento e violenza sessuale nei confronti di una donna ad Austin, fatti avvenuti tre settimane prima degli omicidi. Uno di loro somiglia all’identikit realizzato da un testimone del caso della yogurteria. Davanti alla polizia di Austin i due negano qualsiasi coinvolgimento, ma quando vengono interrogati dalle autorità messicane confessano. 

Durano poco: un paio di giorni dopo ritrattano le dichiarazioni affermando di essere stati costretti a firmare. La squadra impegnata sul caso scopre che le confessioni contenevano dettagli che non corrispondevano alla scena del crimine, persino il calibro delle armi che sostenevano di aver usato era sbagliato.

In realtà, un sospettato la polizia l’aveva trovato già otto giorni dopo gli omicidi. Si chiamava Maurice Pierce, aveva sedici anni, e al momento del fermo si trovava in un centro commerciale vicino alla yogurteria in possesso di una pistola calibro 22, come quella usata per commettere gli omicidi. Durante l’interrogatorio Pierce racconta di aver trascorso la serata del 6 dicembre insieme ad altri tre amici, coinvolti nel crimine: Michael Scott, Robert Springsteen e Forrest Welburn, tutti minori di diciassette anni.

Quando vengono interrogati, però, i tre negano ogni responsabilità, e così, tra l’assenza di prove e gli esami balistici che avevano dato un riscontro negativo sulla pistola di Pierce, vengono rilasciati.

Il nuovo arresto dopo otto anni

Vengono ripresi in considerazione solo otto anni dopo, durante una riesamina del caso. Gli inquirenti però, avevano ancora molto poco tra le mani: «C’era fumo e fuliggine su ogni superficie del negozio il giorno del ritrovamento dei corpi, il che rendeva piuttosto difficile rilevare le impronte digitali» ha raccontato nel 2022 l’agente John Jones alla corrispondente di 48 Hours Erin Moriarty, spiegando perché l’accusa non avesse prove.

Dopo ore di interrogatori, due dei quattro ragazzi cedono e confessano di aver ucciso loro le ragazze, e per questo vengono incriminati. Sono Michael Scott e Robert Springsteen. Ritratteranno poco prima del processo. 

In un’intervista sempre a 48 Hours, rilasciata nel 2009, Springsteen spiegherà perché si era addossato la colpa degli omicidi anni prima: «Sono stato rimproverato più volte dagli agenti. Non mi hanno dato il permesso di andarmene finché non hanno ottenuto ciò che volevano sentirsi dire. E in pratica… Mi hanno distrutto. Non ho avuto nulla a che fare con gli omicidi della yogurteria».

In realtà, anche Forrest Welborn venne arrestato. La polizia era convinta che quella notte fosse di vedetta, dopo che Michael Scott durante una confessione lo aveva collocato sulla scena del crimine. Le accuse contro di lui furono però archiviate dopo che due gran giurì non riuscirono a incriminarlo. Anche le accuse contro Maurice Pierce furono ritirate per mancanza di prove. Tutto crollò, tranne i casi contro Michael Scott e Robert Springsteen.

Le condanne e i rilasci

Nel 2001, dopo un processo durato tre settimane, Springsteen viene condannato a morte per omicidio, pena che poi verrà convertito in un’ergastolo. Scott, invece, avendo avuto solo 15 anni all’epoca dei delitti, viene condannato all’ergastolo nel settembre 2002. 

Entrambi si sono rifiutati di testimoniare contro Pierce e Welborn, che quindi non sono mai stati processati a causa dell’assenza di prove (Pierce morirà nel 2010 dopo essere scappato da un posto di blocco e aver colpito un agente alla gola con un coltello). 

Nel 2006 la Corte d’appello del Texas stabilì che nei casi di Springsteen e Scott, durante il processo, erano stati violati i diritti sanciti dal Sesto Emendamento, che prevede la clausola di confronto. In pratica era state usate le confessioni di uno come prova contro l’altro, ma nessuno dei due fu chiamato a testimoniare al processo dell’altro. Questa violazione causò l’annullamento delle condanne.

In più, c’era il sospetto che le testimonianze rilasciate fossero state ottenute sotto pressione o con tecniche coercitive. Scott fu interrogato per 20 ore suddivise in quattro giornate consecutive, mentre Springsteen per cinque; oltre al fatto che le dichiarazioni non coincidevano né per quanto riguarda le modalità degli omicidi, né per l’ordine di esecuzione o i ruoli avuti da ciascun partecipante. Ma soprattutto, si scoprì che Scott era stato minacciato con una pistola da un detective.

Nessun colpevole: le ipotesi

Nel 2009 i due vengono rilasciati su cauzione, in attesa di un nuovo processo: Scott ha 35 anni, Springsteen 34. L’accusa premeva per portarli di nuovo davanti a una giuria, ma le indagini forensi dimostrarono che il Dna trovato sul corpo di Amy Ayers non era il loro. E così il caso venne archiviato.

Le ipotesi sugli omicidi sono varie: dalla rapina finita male all’attacco a sfondo sessuale, così come un crimine d’impulso da parte di uno o più sconosciuti. In ogni caso, si tratta di un crimine rimasto impunito. A oltre 30 anni di distanza, la speranza è quella di scoprire grazie alle nuove tecnologie a chi appartenga il Dna ritrovato sulla scena del crimine.

22 agosto 2025

22 agosto 2025

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