Il circo dei dazi continua. Dal Brasile al Canada, dall’India alla Svizzera: regna ancora l’incertezza. E a poche ore dall’entrata in vigore delle nuove tariffe americane, sembra vacillare anche la controversa intesa raggiunta faticosamente in Scozia tra la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il presidente americano Donald Trump. L’aliquota omnicomprensiva del 15% sulla maggioranza delle importazioni europee, fissata dall’ordine esecutivo firmato il 31 luglio, potrebbe essere rimessa in discussione. «Hanno comprato l’abbassamento delle tariffe con 600 miliardi di dollari. Posso usarli come voglio. E se non rispettano l’intesa, scatterà un dazio del 35%», ha dichiarato ieri Trump alla Cnbc, riferendosi all’accordo politico in cui Bruxelles si impegna a investire 600 miliardi negli Stati Uniti e a comprare 750 miliardi di Gnl in tre anni.
Ma l’affondo è più ampio. Trump ha annunciato che i farmaci importati negli Stati Uniti — attualmente sotto indagine ai sensi della sezione 232 del Trade Expansion Act — potrebbero essere colpiti da dazi fino al 250%, il livello più alto minacciato finora dalla nuova amministrazione. Con l’obiettivo dichiarato di riportare la produzione farmaceutica sul suolo americano e abbattere i prezzi dei medicinali, tra i più alti al mondo. «Comincerò con una tassa piccola, poi la porterò al 150%, infine al 250%», ha spiegato Trump. Misure che potrebbero essere annunciate entro una settimana.
Un’altra boutade del tycoon americano per aumentare la pressione sul blocco europeo, che appare sempre più diviso? Nuove critiche sull’accordo commerciale sono arrivate dal governo di Berlino, per voce del suo ministro delle Finanze, Lars Klingbeil, che lunedì ha incontrato il segretario del Tesoro Scott Bessent a Washington. Il leader della Spd ha definito l’intesa insoddisfacente. «Siamo stati troppo deboli», ha detto annunciando l’intenzione di trattare separatamente con gli Stati Uniti per ottenere «un sistema di quote sull’acciaio tedesco». Parole che segnalano non solo la tentazione di ritornare al bilateralismo commerciale dei singoli Stati con gli Usa, quando si tratta di difendere i propri interessi, ma che indeboliscono la forza dell’Unione in una delle poche materie su cui ha competenza esclusiva.
Le dichiarazioni del leader della Spd hanno irritato non poco Bruxelles: «Siamo rimasti sorpresi», ha detto un portavoce. «Ricordo che gli Stati membri dell’Ue e gli attori economici hanno costantemente sottolineato che un conflitto commerciale con gli Stati Uniti non era una strada auspicabile. Hanno insistito che solo una soluzione negoziata poteva garantire stabilità e proteggere i nostri interessi comuni. Questa era la posizione della stragrande maggioranza degli Stati membri, incluso quello da cui proviene il ministro in questione».
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Pertanto l’Unione europea tira dritto. Ieri, come previsto, con una procedura d’urgenza, la Commissione ha congelato per sei mesi le contromisure europee ai dazi Usa che, a partire dal 7 agosto, avrebbero colpito un totale di 93 miliardi di merci statunitensi importate. Entro due settimane gli Sati membri devono approvare la decisone a maggioranza semplice. Si tratta solo una sospensione e le contromisure potrebbero essere riattivate, se necessario. A dimostrazione che nulla, anche a Bruxelles, è dato per scontato. Anche se poi un funzionario vicino al dossier confida che le discussioni sulla dichiarazione congiunta Usa-Ue sono «piuttosto avanti» e il testo è praticamente «pronto al 90-95%». Anche il commissario al Commercio, Maroš Šefcovicč ha fatto sapere di essere «in contatto» con il segretario Usa al Commercio, Howard Lutnick, e il rappresentante per il Trade , Jamieson Greer, «per mettere in pratica l’accordo Ue-Usa di luglio, in tutti i suoi elementi». Il lavoro «continua con spirito costruttivo», ha precisato. A dispetto delle minacce di Trump.
Ma i dossier aperti sono tanti. Bruxelles si aspetta che il dazio del 15% arrivi «molto presto» anche sulle auto, ancora soggette al 27,5%, perché l’ordine esecutivo di Trump riguardava solo i cosiddetti dazi reciproci. I veicoli, come altri settori, ricadono invece sotto una base giuridica diversa.
I numeri, intanto, sembrano dare ragione alla Casa Bianca. Il deficit complessivo degli Stati Uniti è sceso del 16% a giugno, toccando 60,2 miliardi di dollari, il livello più basso da due anni. Il calo è dovuto soprattutto alla flessione delle importazioni di beni di consumo e ha contribuito alla crescita del Pil nel secondo trimestre, salito del 3% dopo il -0,5% segnato nel primo. Ma dal mondo del lavoro e dei prezzi al consumo arrivano segnali preoccupanti sullo stato dell’economia.
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6 agosto 2025
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