
Quanto è rappresentativo JD Vance del cattolicesimo americano? E quale sarà il ruolo della Chiesa Usa nell’elezione del prossimo pontefice?
Molti italiani avranno scoperto solo in occasione della sua visita in Vaticano, che il vice di Donald Trump è cattolico. In effetti non lo è dalla nascita, si è convertito ed è stato battezzato nel 2019, all’età di 35 anni. Vance non è mai stato un ammiratore di papa Francesco, anche se naturalmente lo ha trattato con il dovuto rispetto e deferenza nel loro incontro recente. Vance appartiene a una comunità di cattolici americani molto tradizionalisti, che seguono messe celebrate in latino, durane le quali le donne portano il velo, e al di là degli aspetti rituali divergono dagli insegnamenti di Bergoglio sul terreno politico, sociale, ambientalista. Si definiscono «cristiani agostiniani», con riferimento a Sant’Agostino. È una comunità ricca, potente, che negli ultimi anni ha rafforzato la sua influenza culturale anche attraverso una serie di università, centri studi, iniziative culturali. Di sicuro cercherà di pesare nel Conclave e di orientare l’elezione del successore di Francesco.
Il Wall Street Journal cita Stephen White, direttore della ricerca Catholic Project, secondo cui la Chiesa americana è di fronte a uno scenario di «anglicizzazione», cioè una sorta di scisma non-dichiarato, che si consuma su basi nazionali. Un censimento del Catholic Project fra 3.500 sacerdoti ordinati negli Usa dal 2020 in poi rivela che l’80% si dichiara «conservatore-tradizionalista»: questo significa che lo spostamento a destra (e la presa di distanza rispetto al pontificato di Francesco) è più accentuato nelle nuove generazioni di sacerdoti.
Alcuni dati sul peso del cattolicesimo negli Stati Uniti. Secondo le indagini demoscopiche del Pew Research Center 53 milioni di adulti in America si identificano come cattolici, cioè il 19% della popolazione, un po’ meno di un quinto. È una componente religiosa in calo, perché nel 2008 erano il 24%, però la diminuzione sembra essersi arrestata negli ultimissimi anni. (E in parte il calo relativo è influenzato da flussi migratori in provenienza da paesi islamici, buddisti, oppure da un Sudamerica e un’Africa dove avanzano i protestanti evangelici e pentecostali). Un’altra statistica interessante riguarda la pratica religiosa reale, misurata attraverso la partecipazione alla messa domenicale: il calo è netto, negli anni Settanta almeno metà dei cattolici andavano a messa ogni domenica, oggi solo un quarto.
Lo spostamento a destra degli elettori cattolici è stato rilevato confrontando gli ultimi due cicli elettorali. Nel 2020, con un candidato democratico cattolico come Joe Biden, l’elettorato di questa comunità di fedeli si era equamente diviso fra democratici e repubblicani; nel 2024 Trump ha conquistato i voti dei cattolici con uno scarto dell’11%, molto superiore alla media nazionale del suo vantaggio elettorale su Kamala Harris.
La chiesa americana esprime dei movimenti conservatori, con le loro centrali teoriche in luoghi come l’università di teologia Augustine Institute a Denver, Colorado; l’università francescana di Steubenville, Ohio, e il Benedictine College di Atchison, Kansas.
Fra i leader dell’opposizione al papato di Francesco figura il vescovo Joseph Strickland del Texas, che ha invocato l’elezione di un pontefice «più determinato nel difendere la tradizione della fede». Come ambasciatore Usa presso la Santa Sede, Trump ha nominato Brian Burch, capo di un’associazione di cattolici di destra nel Wisconsin, molto critico verso il pontificato di Francesco.
L’America è solo la quarta nazione al mondo per numero di fedeli cattolici, però il peso della sua chiesa è superiore se misurato in risorse economiche. Anche se gli scandali di pedofilia e altri processi hanno provocato perdite finanziarie importanti, fino alla bancarotta di alcune diocesi, gli Stati Uniti restano un polmone finanziario decisivo per il Vaticano.
Per avere un’idea delle critiche che la destra cattolica americana ha sempre rivolto al papato di Bergoglio, una sintesi rappresentativa è l’editoriale che il Wall Street Journal pubblica oggi in occasione della sua scomparsa. Eccolo:
«Quando Jorge Mario Bergoglio fu eletto 266º papa nel 2013, fu un evento segnato da una serie di primati. Fu il primo papa gesuita e, in quanto argentino, il primo da secoli a provenire da fuori dell’Europa. Eppure, il suo lascito come Papa Francesco, morto il Lunedì di Pasqua all’età di 88 anni, è stato deludente persino rispetto alle priorità che egli stesso si era prefissato per il suo pontificato.
Papa Francesco è stato conosciuto soprattutto per il suo richiamo all’attenzione verso i poveri, nella migliore tradizione cristiana. Invitava a un clero fatto di “pastori con l’odore delle pecore”, cioè sacerdoti e suore che condividessero le sofferenze dei loro vicini. Ha fatto del sostegno ai più deboli il fulcro retorico del suo pontificato. Ha portato un tono di informalità e apertura pubblica in Vaticano.
Purtroppo, Papa Francesco ha abbracciato ideologie che mantengono i poveri nella povertà. Una di queste dottrine terrene è l’ambientalismo radicale, che non mira a mantenere la Terra pulita per l’umanità, ma a preservare la Terra per sé stessa, trattando l’uomo come un nemico.
In uno dei suoi primi scritti da papa, Laudato Sì, Papa Francesco citava l’aria condizionata come esempio delle “abitudini dannose di consumo” che condurranno l’umanità all’autodistruzione. Non sembrava rendersi conto che uscire dalla povertà richiede un maggiore consumo di energia.
Il suo pontificato è stato segnato da un atteggiamento antiamericano, e non solo contro Donald Trump. Sembrava credere che l’America Latina fosse povera perché gli Stati Uniti sono ricchi. Ma questa è una ricetta per la stagnazione e la disperazione, poiché le vere cause della povertà in America Latina si trovano all’interno: mancanza dello stato di diritto, collusione tra imprese e governo, protezionismo e altri ostacoli allo sviluppo umano.
Alcuni attribuiscono la sua ostilità verso il libero mercato al suo retroterra latinoamericano. Nato a Buenos Aires, Papa Francesco fu nominato molto giovane superiore provinciale dell’ordine gesuita in Argentina, durante la dittatura militare. Era un equilibrio difficile da mantenere, e alcuni membri del suo ordine lo accusarono ingiustamente di essere troppo vicino al regime.
L’Argentina, per gran parte della sua vita, è stata dominata dal peronismo, una forma di populismo di sinistra che prende il nome dal presidente argentino Juan Perón. Quando Bergoglio osservava la realtà che lo circondava, vedeva corruzione e ricchi che prosperavano mentre i loro compatrioti languivano nella povertà. Forse è comprensibile che abbia confuso il corporativismo argentino con il capitalismo.
Meno giustificabile è stato il suo accordo con Pechino da papa, che ha concesso al Partito Comunista un’influenza nella scelta dei vescovi. Le condizioni per i cattolici in Cina sono peggiorate, nonostante il Vaticano abbia rinnovato più volte questa sottomissione. La Santa Sede è rimasta in silenzio sulla sorte dell’editore Jimmy Lai, il cattolico imprigionato più famoso della Cina.
Diversamente dai suoi due immediati predecessori — Giovanni Paolo II e Benedetto XVI — Papa Francesco proveniva dall’ala progressista della Chiesa. Ha punito i vescovi tradizionalisti che non condividevano la sua linea, e ha riempito il collegio cardinalizio di figure altrettanto progressiste.
L’ironia è che questo progressismo è più popolare in luoghi come l’Europa, dove le chiese la domenica sono vuote. La Chiesa prospera invece in Africa e tra i giovani cattolici ortodossi dell’Occidente, alla ricerca di un senso della vita oltre il consumo materiale. I cardinali che sceglieranno il successore del papa contribuiranno a determinare quale futuro desiderano per la Chiesa e per gli 1,3 miliardi di cattolici nel mondo».
22 aprile 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
22 aprile 2025
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