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Il caso del «piano del Quirinale contro Meloni», punto per punto: i due articoli, le note e i silenzi

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Uno scontro istituzionale senza precedenti, che la cerchia meloniana cerca ora di delimitare ma che lascerà un segno profondo. Sullo sfondo, le manovre per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, nel 2029. E l’ossessione del centrodestra per il Quirinale. Un’ossessione doppia: da una parte, l’idea ricorrente che lassù, sul Colle, si trami sempre contro lo schieramento conservatore; dall’altra, l’idea conseguente che quella casella-chiave bisogna prima o poi occuparla, perché per una congiura del destino ogni volta che nella cosiddetta seconda Repubblica si è eletto il capo dello Stato, chi aveva il pallino in mano – cioè, più voti in Parlamento – era il centrosinistra. Per questo è doppio anche il valore delle prossime elezioni politiche del 2027: si decide chi governa, ma si decide anche, se non soprattutto, chi sarà il kingmaker, chi avrà il potere di scegliersi il prossimo inquilino del Quirinale.

È questo il contesto del clamoroso scontro tra Quirinale e centrodestra, esploso nelle ultime ore. 

Tutto comincia con il titolo di prima pagina del quotidiano la Verità di oggi – «Il piano del Quirinale per fermare la Meloni»– che sintetizza brutalmente il contenuto di due articoli.

Il primo è a firma di Ignazio Mangrano. Il giornalista afferma di avere «ascoltato di straforo», durante «un incontro conviviale» «in un locale pubblico», alcune frasi di Francesco Saverio Garofani, consigliere per la difesa del presidente della Repubblica. Garofani è un ex parlamentare del Partito democratico da sempre vicino a Mattarella, prima nella corrente di sinistra della Democrazia cristiana, poi nel Partito popolare, poi nella Margherita e infine nel Pd: tra il 2006 e il 2018 è stato deputato per tre legislature.

È importante il modo in cui vengono presentate subito le presunte frasi di Garofani: non parole dette liberamente in un contesto privatissimo, in cui chiunque può lasciarsi andare a giudizi personali, congetture e previsioni, ma «una serie di considerazioni che, messe in fila, raccontano molto di più degli umori personali di un consigliere. Raccontano la linea del Quirinale. E questa linea, oggi, è tutto fuorché tenera con il centrodestra». C’è dunque un richiamo immediato a un presunto complotto del Quirinale per danneggiare la presidente del Consiglio, un’affermazione così ricorrente nella pubblicistica del centrodestra che sembra essersi ormai smarrito il senso della sua gravità. Scrive Mangrano:

«Garofani dipinge un quadro chiaro. Se il contesto politico restasse quello attuale, Giorgia Meloni sarebbe destinata al Quirinale. Lo dice quasi sorridendo, sì, ma come chi sta dicendo una cosa che lo preoccupa parecchio. E soprattutto aggiunge un dettaglio non irrilevante: “In quell’area non c’è nessuno adeguato”. Tradotto: Meloni è l’unica. E questa unicità, secondo il consigliere del Colle, sarebbe un problema».

Seguono riferimenti al calendario, alle Politiche del 2027, «probabilmente maggio». Un anno e mezzo «ma al Colle – è questo il punto – non sembrano così convinti che il tempo basti a cambiare gli equilibri, se non interviene qualche provvidenziale scossone».

Attenzione: la parola scossone è del giornalista, che attribuisce poi a Garofani questo commento:

«Speriamo che cambi qualcosa prima delle prossime elezioni, io credo nella provvidenza. Basterebbe una grande lista civica nazionale».

Al che Mangrano trova che sia «non proprio una dichiarazione di neutralità istituzionale», senza osservare che non si trattava di una dichiarazione – il super-schivo Garofani dichiarazioni non ne rilascia – ma al massimo di giudizi personali. In ogni caso, il cronista della Verità racconta che il consigliere di Mattarella avrebbe parlato della «costruzione di un nuovo centrosinistra, un «nuovo Ulivo», in cui Ernesto Ruffini, l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe «una pedina utile. Ma non sufficiente».

A quel punto, Garofani avrebbe aggiunto che «serve un intervento ancora più incisivo di Romano Prodi», riferendosi evidentemente alle ultime sortite dell’ex premier, molto critiche verso la segretaria del Pd Elly Schlein e il «radicalismo» della sua linea. Altri concetti che avrebbe espresso Garofani: «Se non fosse morto, oggi il premier sarebbe David Sassoli o lo sarebbe dalla prossima legislatura».

Mangrano la interpreta come «un’ammissione di debolezza degli attuali leader del centrosinistra».

Ma poi il suo articolo fa un salto di specie, dalla testimonianza di cui si assume la responsabilità – facile che abbia fatto in tempo ad azionare il registratore – alla tesi che sia in corso una manovra del Quirinale, cioè di Mattarella. Ammette, Mangrano, che le parole di Garofani non sono espresse «in una intervista, né in una sede ufficiale». Ma poi va all’attacco, scrive che quelle parole rientrano «in quella zona grigia dove i consiglieri parlano “a titolo personale” e intanto, però, mandano messaggi in bottiglia destinati a chi li deve capire”. Garofani, dice, «non è un opinionista qualsiasi, ma un consigliere di Mattarella, peraltro su dossier delicatissimi», e così si confondono le acque, perché è chiaro che Garofani non è un opinionista e infatti esprimeva opinioni personali a cena senza immaginare di essere spiato. Ma secondo Mangrano, «quando uno così arriva a prefigurare Meloni al Quirinale come un incubo istituzionale e a invocare “provvidenze” politiche contro il governo in carica, qualche domanda bisognerebbe porsela». Ed ecco l’affondo conclusivo, l’attacco a Mattarella:

«Il Colle, insomma, non appare affatto indifferente al risiko politico che porterà al nuovo capo dello Stato. E sta osservando, valutando, probabilmente orientando».

Ricapitolando: si prendono parole strappate a insaputa di Garofani per insinuare, anzi affermare, che Mattarella vuole rovesciare Meloni.

Il direttore della Verità Maurizio Belpietro, a quel punto ci mette il carico. Se non fosse chiaro, titola il suo articolo «Così il Colle proverà a fermare Meloni». Comincia con l’ennesima riproposizione dei miti che da trent’anni popolano l’immaginario complottista del centrodestra: il complotto di Scalfaro per rovesciare Berlusconi nel 1994, il complotto di Napolitano per rovesciare Berlusconi nel 2011 per sostituirlo con Monti e un altro complotto attribuito a Mattarella, perché «siccome la storia non insegna niente, neanche ai capi dello Stato, la manovra si è ripetuta con Mario Draghi». Sarebbe da ricordare che Berlusconi diede l’appoggio esterno a Monti e entrò nella coalizione di Draghi, ma non lo si fa notare. Si passa a quel punto allo «scoop» di Mangrano per dedurne che «consiglieri di Sergio Mattarella, a quanto pare, si agitano nella speranza di fare lo sgambetto a Giorgia Meloni e impedirle di arrivare a conclusione del mandato e di candidarsi nel 2027 per il prossimo». E si aggiunge che «l’operazione, a prescindere da chi la debba guidare, passerebbe però dalla rottura della coalizione di centrodestra (come nel 1994), per portare una parte centrista in braccio ai compagni», un elemento che nell’articolo di Mangrano in realtà non c’era.

Ma non basta. Belpietro attribuisce a Garofani questo virgolettato: «Un anno e mezzo di tempo forse non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra: ci vorrebbe un provvidenziale scossone» – che invece nell’articolo del suo cronista non c’è, è Mangrano a parlare di scossone.

Non solo: scrive il direttore che «l’operazione, a prescindere da chi la debba guidare, passerebbe però dalla rottura della coalizione di centrodestra (come nel 1994), per portare una parte centrista in braccio ai compagni. Obiettivo, impedire non solo una vittoria di Giorgia Meloni, ma che una maggioranza non di sinistra nella prossima legislatura possa decidere il sostituto di Sergio Mattarella. A quanto pare si ragiona di una “grande lista civica nazionale”». Ma ancora: nell’articolo di Mangrano non si parlava di rotture nel centrodestra auspicate da Garofani. Semmai Garofani, sulla scia di molti esponenti moderati del centrosinistra, e con l’allusione a figure come Prodi, Ruffini e Sassoli, sembra auspicare un centrosinistra non guidato da Schlein. È un complotto contro Meloni?

A quel punto Belpietro trae conclusioni del tutto coerenti con quello che scrive da decenni: «In che cosa consista lo scossone non è noto, ma lo si può immaginare. Un no al referendum sulla giustizia potrebbe aiutare. La Corte dei Conti e altri giudici impegnati a mettere i bastoni fra le ruote all’esecutivo darebbero una mano. E magari, perché no, anche una bella crisi finanziaria come ai tempi di Berlusconi, con lo spread alle stelle. Insomma, al Quirinale pur di fermare la corsa della Meloni le pensano proprio tutte. Dunque, urge stare all’occhio. A sinistra la chiamerebbero vigilanza democratica. Contro poteri forti e poteri marci»

Si insinua di tutto insomma: che i giudici della Corte dei Conti siano dei disonesti, degli eversori impegnati a danneggiare il governo, non a fare valutazioni autonome su progetti come il Ponte sullo Stretto. Si prefigura il solito complotto, la solita crisi finanziaria, il Quirinale che vuole fermare la corsa di Meloni.

Il punto è questo: se davvero Garofani ha detto quelle cose, non c’è nulla di sorprendente, data la sua storia. Non sorprende che un consigliere di Mattarella non sia un fan di Meloni. Non smette di sorprendere invece il modo spregiudicato con cui, pur di montare in caso, si facciano insinuazioni su Mattarella e si mettano in gioco gli equilibri istituzionali.

Il resto è cronaca politica: il caso lo fa esplodere il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Galeazzo Bignami, meloniano della prima ora, che chiede che le ricostruzioni della Verità «siano smentite senza indugio in ossequio al rispetto che si deve per l’importante ruolo ricoperto dovendone diversamente dedurne la fondatezza».

Il Quirinale ha ritenuto allora opportuno intervenire perché Bignami, noto per una foto in divisa da SS, non è un fratellista qualsiasi ma un fedelissimo della leader. La nota del Colle è durissima: «Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo».

A quel punto, il sottosegretario alla presidenza Giovanbattista Fazzolari prova a metterci una pezza: «Né Fdi né tanto meno Palazzo Chigi hanno mai dubitato della lealtà istituzionale del presidente Mattarella con il quale il governo ha sempre interloquito con totale spirito di collaborazione». Ma poi anche lui dice che «sarebbe stata opportuna una smentita del consigliere Garofani».

Replica anche Belpietro: «Confermo parola per parola quanto pubblicato oggi. Di ridicolo in questa vicenda c’è solo il maldestro tentativo di mettere il silenziatore a dichiarazioni inquietanti rilasciate da un consigliere del presidente della Repubblica». Ma Belpietro sa bene che non sono dichiarazioni rilasciate, sono conversazioni private spiate. Qualunque giornalista avrebbe origliato, possibilmente registrato e probabilmente scritto. Ma non tutti i giornalisti monterebbero un complotto su parole che di inquietante non hanno nulla.

Garofani, in serata, si è detto amareggiato per il cancan su «chiacchiere tra amici» (qui il colloquio con il Corriere). E almeno fino alle 20 del 19 novembre, «quando il presidente si è ritirato nelle sue stanze», nessuna telefonata era arrivata al Quirinale da Palazzo Chigi, scrive Monica Guerzoni qui.

Vale su tutto il commento di Massimo Franco, che trovate qui:

«In apparenza è solo un attacco sgangherato. Analizzato in filigrana, tuttavia, appare qualcosa di più preoccupante: una provocazione nel tentativo spericolato di fare apparire il Quirinale una sorta di capo-ombra dell’opposizione al governo». 

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19 novembre 2025

19 novembre 2025

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