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I segreti di Cate Blanchett: «Oggi è difficile fidarsi degli altri»

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Segreti e bugie. Il pane quotidiano per chi di mestiere fa la spia. Se poi ha la ventura di avere un collega come coniuge, il mélange può diventare esplosivo. Lealtà al proprio Paese o al proprio matrimonio? Materia incandescente su cui Steven Soderbergh ha costruito Black Bag. Doppio gioco  (in sala dal 30 aprile con Universal): una spy story che ribalta i codici del genere e si presenta come un ritratto di un matrimonio tra Kathryn St. Jean (una Cate Blanchett in versione bruna) e George Woodhouse (Michael Fassbender), sofisticati e formidabili agenti di sua maestà britannica. Devoti al loro Paese ma ancor di più al loro connubio, messo a repentaglio quando a George viene chiesto di indagare su cinque possibili traditori, tra cui la stessa Kathryn.

Anche gli attori giocano con la finzione, un invito a nozze per lei.

«Ho accettato a scatola chiusa. Scritto da David Koepp (una garanzia, suoi da Carlito’s way a Mission Impossible, ndr), diretto da
Steven, non mi serviva altro. Il film è divertente e, spero, romantico. Credo peraltro che catturi lo spirito del tempo, ci fa riflettere quanto sia difficile fidarsi delle persone e avere relazioni durature».

La borsa nera del titolo è una difesa per le spie, un limite che gli altri non possono valicare. Vale per anche per le persone comuni?

«Una spia non rivela cosa c’è nella sua valigetta, nemmeno al suo partner. Kathryn e George sono tutto l’uno per l’altro. La passione per il lavoro e la fiducia reciproca sono la loro bussola. Il film gioca sull’ambiguità, ma suggerisce che ognuno di noi farebbe bene a tenere una sorta di borsa di segreti per proteggere la propria relazione».

Sarebbe una brava spia?

«Chissà. Sono dei ottimi ascoltatori, in questo mi riconosco. La gente racconta più cose di quanto immagini. Mi affascina il loro muoversi sul filo del rasoio tra moralità e amoralità. Non possono avere limiti perché sanno che dovranno oltrepassarli. Loro sei si conoscono bene ma ognuno ha segreti da difendere».

Due premi Oscar, otto candidature, venerata da registi e colleghe e colleghi che la considerano un mito, un’ispirazione. Che effetto le fa?

«Quando mi fanno i complimenti mi sento come se si parlasse di un’altra persona. Mi fa piacere, ma non mi sento un esempio. Anzi, mi capita di pensare come avrei potuto fare meglio, o mi trovo a accarezzare l’idea di smettere».

Invece ha una filmografia impressionante e continuamente da aggiornare: ha in arrivo il nuovo di Jim Jarmush e «Alpha gang» su un’invasione aliena.

«I ruoli più interessanti non sono necessariamente quelli con più battute. Cerco progetti di diverse dimensioni e ambizioni, stili, attori e registi differenti. Come attrice è questo che ti rinfresca: usare anche i muscoli che non conosci. È il motivo per cui, finora, ho continuato».

È reduce da un Cechov trionfale al Barbican a Londra.

«Con Il gabbiano. Venti anni feci Nina, ora Irina Arkadina. Una bella traiettoria. Non essendo russa, non parto dal testo originale. Ogni volta è un adattamento, anche mio marito (il drammaturgo Andrea Upton, sono sposati dal ‘97. ndr) ne ha realizzati molti. Questa versione di Thomas Ostermeier è diversa da tutte, come un miraggio. Il teatro mi piace, sei parte di un gruppo, molli le certezze, accetti gli imbarazzi fin dalla sala prove».

Si tiene a distanza di sicurezza da Hollywood, giusto?

«Penso che Hollywood sia uno stato d’animo. Un modello superato dai tempi. Basta pensare ai film che hanno vinto gli Oscar negli ultimi anni. I gusti del pubblico sono sempre più variegati, lo dico osservando i miei figli, sono onnivori. Ma Hollywood va trattata con riverenza perché lì sono nati film come quelli di Steven, realizzati con budget medio, arguti, divertenti e eleganti, con un cast eccellente. Film per adulti che ormai non si fanno più: penso che Black Bag sia così».

In gennaio a Rotterdam ha lanciato il Displacement Film Fund, per finanziare opere di registi rifugiati. I primi cinque nomi saranno annunciati a Cannes. Il cinema può fare la differenza?

«Può calarti nella realtà della vita di qualcuno come nessun’altra forma d’arte. È lo spirito di questa iniziativa. Quando le persone devono lasciare le loro case, perdono l’accesso alle cose più elementari, ma come artisti perdono anche l’accesso ai mezzi per creare, in un momento in cui è più vitale che mai».

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19 aprile 2025

19 aprile 2025

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