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«I ragazzi russi non sanno nulla di Stalin e dei gulag. Una popolazione plasmata dalla guerra, Putin ne approfitta»

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«Quando insegnavo a Mosca, mi stupiva sempre la passione degli studenti per la storia. I ragazzi conoscevano in dettaglio quanti carri armati fossero stati impiegati nella battaglia del Kursk durante la Seconda Guerra Mondiale, e le differenze di strategia tra i comandanti Zhukov e Konev. Ma non sapevano quasi nulla dei crimini di Stalin, dei gulag, e delle altre guerre, civili e straniere, combattute dal loro Paese».

Anche in Italia è finalmente stato pubblicato «Forgiati dalla guerra» (Leg edizioni), una delle opere più importanti di Mark Galeotti, storico inglese tra i più profondi e conosciuti esperti di Russia. Il titolo enuncia già la tesi: come i conflitti e un malinteso senso della storia hanno profondamente plasmato l’evoluzione della Russia, creando una mentalità bellicista e aggressiva, sulla quale gran parte del mondo si interroga. 

«Vladimir Putin è l’homo sovieticus per eccellenza, che si nutre di ideologia senza avere più quella che stava alla base dell’Urss. L’uso distorto di una Storia dove tutto deve essere glorioso e senza macchie, gli è servito per dare una direzione al suo Paese. Per creare una identità temporanea, soffiando sulle paure ancestrali».

Professore, cosa temono i russi?
«La posizione della Russia è stata anche la sua tragedia. Nessun confine naturale, poche delle risorse che arricchivano i rivali, un perpetuo svantaggio tecnologico contro chiunque. Questo costante senso di vulnerabilità, e il sentirsi stretti tra i pericoli dell’invasione esterna e la ribellione dall’interno, hanno definito la mentalità dei suoi governanti. E di conseguenza, la minaccia della guerra e la necessità di essere in grado di combatterla sono stati il cardine dell’evoluzione statale».

L’elevato numero di conflitti è l’unica spiegazione possibile?
«Non è solo una questione di densità: in Russia, le istituzioni, la cultura della nazione, il concetto stesso dell’essere russo, sono stati definiti dalle guerre. Se un principe medievale moscovita si trovasse catapultato nell’epoca moderna, credo che in qualche modo sarebbe in grado di capire le scelte di Putin».

Che bisogno c’era di creare una nuova ideologia, se già alla fine dell’Urss la gente aveva smesso di credere a quella vecchia?
«Le reliquie del marxismo-leninismo davano comunque un senso all’essere un cittadino sovietico. Negli anni Novanta, i russi non sapevano più chi fossero. Qual era il loro posto nel mondo? Provare a copiare l’Occidente? Essere una civiltà distinta? A un certo punto, Putin ha provato a creare una identità attraverso la storia».

Quando, di preciso?
«Con la crisi finanziaria del 2008 e le proteste di piazza del 2011 e del 2012, Putin capisce che il contratto sociale tra lo Stato e il cittadino medio, stai lontano dalla politica e noi proviamo a farti vivere decentemente, non regge più. Ha bisogno d’altro. E allora chiede aiuto alla storia».

Che giudizio dà del Putin storico in capo?
«La sua passione per la storia è pari solo alla sua incapacità di comprenderla veramente. La tratta come fosse un buffet, dal quale ci si può servire a piacimento. In questo, approfitta del fatto che la Russia non ha mai davvero fatto i conti con i demoni del suo passato»

Il terreno per la guerra in Ucraina è stato preparato così?
«Già nel 2014, gli “omini verdi” che entrarono nel Donbass vennero ribattezzati Opolchentsky, come le milizie patriote che nel Seicento liberarono Mosca, la cui storia da allora incarnava l’idea che nei momenti di crisi ogni russo è tenuto a combattere, senza farsi troppe domande».

Perché lei sostiene che Putin verrà ricordato come una “figura di transizione”?
«Dobbiamo riconoscere che la Russia ha fatto molti progressi negli ultimi 25 anni. Ma nonostante i suoi tentativi, Putin non è mai riuscito a stabilire cosa sia la Russia oggi, e quale sia la sua visione. Improvvisa. Reagisce al momento. Stiamo parlando di un settuagenario plasmato dalle esperienze dell’Urss in declino, che, come molti suoi predecessori, vede il mondo in termini di minaccia e cerca di affrontare la fine del potere sovietico in un’era post-sovietica».

E dopo di lui?
«La prossima generazione al potere sarà molto diversa. Non è certo che avranno successo, e sicuramente non saranno dei liberali. Ma saranno i primi non sovietici, e ben presto capiranno che il loro compito non è di rimanere intrappolati nel passato. Magari con un necessario choc culturale e di sistema, dovranno far capire al loro popolo che la Russia ha un ruolo importante nel mondo, ma non è più una potenza imperiale. E che una nazione forgiata dalla guerra non deve essere plasmata da essa per sempre».

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14 ottobre 2025

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