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I nuovi big dell’economia: il patto tra Cina, India e Brasile per riequilibrare gli Usa

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I dazi di Donald Trump avranno tra le conseguenze il rilancio dei Brics, il club delle potenze emergenti antioccidentali? Due dei Paesi più colpiti dai superdazi sono Brasile e India, cioè la B e la I nell’acronimo dei Brics (oltre a loro annovera Cina, Russia, Sudafrica tra i membri fondatori). Sono i maggiori sconfitti in questa tornata dei dazi americani. A differenza dell’Unione europea, del Giappone e della Corea del Sud, protagonisti di accordi che hanno ridotto le tasse doganali americane al 15%, a Delhi e Brasilia finora è andata molto peggio: 50%. Nel coro delle critiche rivolte al protezionismo di Trump se ne aggiunge perciò una di natura geopolitica. Secondo questa accusa rischia di spingere due giganti emergenti come India e Brasile nelle braccia di Cina e Russia, rafforzando un fronte antiamericano ed antioccidentale del Grande Sud globale. Il trattamento inflitto a India e Brasile non è unico, dazi elevati hanno colpito anche nazioni del sud-est asiatico e perfino l’ignara Svizzera. 

Brasile, l’ingerenza di Trump rafforza Lula

Però la geopolitica assegna un’importanza particolare alle crisi bilaterali nei rapporti di Trump con il presidente Lula da Silva e con il premier Narendra Modi. Al Brasile, la Casa Bianca rimprovera il trattamento inflitto all’ex leader Bolsonaro: amico personale ed alleato politico di Trump, secondo la destra Usa è vittima di una persecuzione giudiziaria. In effetti le azioni contro Bolsonaro per un presunto tentativo di golpe vengono da una Corte costituzionale politicizzata e di parte, hanno sollevato obiezioni anche in ambienti moderati e progressisti del Brasile. Però si tratta di una questione interna al Paese. L’ingerenza di Trump fornisce al populista Lula da Silva l’occasione di presentarsi come difensore della sovranità nazionale. I dazi del 50% annunciati contro il Brasile in realtà si applicherebbero soltanto a un terzo delle esportazioni di quel Paese verso gli Stati Uniti. Ci sono numerose esenzioni: dagli aeroplani di Embraer ai metalli, fino al succo di arancia. Comunque l’azione di Trump, per quanto peggiori le relazioni, non avrà un impatto geopolitico determinante per una ragione semplice: Lula era già uno dei leader più antiamericani di tutto il Grande Sud globale. Anche ai tempi delle presidenze Obama e Biden, Lula aveva pronunciato ai vertici dei Brics dei discorsi allineati con la Cina su un tema cruciale: l’abbandono del dollaro come moneta di riserva e mezzo di pagamento per le transazioni internazionali. Il Brasile ha già provato ad avventurarsi su quella strada, con alcuni accordi sull’uso del renminbi cinese nell’import-export con Pechino, finora di portata limitata. 

Segnali di raffreddamento lungo l’asse Washington-Delhi

Più gravida di conseguenze è la tensione Washington-Delhi. Il premier nazionalista Modi si sente tradito: era uno dei leader più trumpiani del pianeta, aveva esibito la sua amicizia con il presidente americano in diversi summit bilaterali. L’India, pur essendo tra i membri fondatori del club dei Brics, è rimasta più vicina all’America di tutti gli altri. Fa parte del Quad, quadrilatero delle democrazie dell’Indo-Pacifico, formato con Usa, Giappone e Australia per contenere l’espansionismo cinese in quell’area. Però i segnali di raffreddamento lungo l’asse Washington-Delhi si moltiplicavano da tempo. A cominciare da quello che è proprio il casus belli all’origine dei superdazi. È durante la presidenza Biden che l’India rifiutò di applicare le sanzioni contro il petrolio russo. Dall’epoca dell’aggressione contro l’Ucraina, l’India è rimasta la seconda maggiore acquirente di energia fossile da Mosca, subito dopo la Cina. È la motivazione che Trump adduce per il raddoppio del suo dazio sull’India, dal 25% al 50%. In questo senso la durezza mostrata verso Modi va vista in una triangolazione con Putin: si avvicina il vertice sull’Ucraina e Trump vuole aumentare il suo potere contrattuale verso il leader russo. Altri dispetti bilaterali includono il ruolo di Trump come intermediario per una tregua fra India e Pakistan dopo la breve guerra di quest’anno: Modi lo avrebbe voluto meno equidistante. L’India risente il colpo di dazi Usa perfino superiori a quelli usati contro la Cina (che per adesso si attestano attorno al 30%) perché negli ultimi anni si era conquistata una vocazione di “anti-Cina” nelle strategie di grandi multinazionali americane, Apple in testa. 

Pechino in cerca di nuovi mercati

Il movimento battezzato “friendly-shoring” da Janet Yellen (segretaria al Tesoro di Biden) spingeva a spostare investimenti dalla Cina verso Paesi amici e affidabili, India in testa. Andrà tutto in fumo? Il pessimismo è eccessivo. L’India esporta verso gli Stati Uniti molti più servizi (come il software informatico) che beni fisici, e i servizi non sono tassati dai dazi di Trump. L’India come pure il Brasile, temono una Cina che sta già rovesciando sui mercati non-Usa le sue eccedenze di produzione. Modi e Lula applicarono dazi contro il «made in China» molto prima che Trump venisse rieletto. Per quanto l’America stia facendo tutto per saldare i Brics, le rivalità interne hanno origini antiche e cause strutturali profonde. A luglio le esportazioni cinesi nel mondo intero sono aumentate del 7,2% mentre crollavano di oltre il 20% quelle verso gli Stati Uniti. Brasile e India sanno cosa significa: Pechino sta accentuando la pressione per invadere i loro mercati, e compensare così la chiusura di quello statunitense. Questo conflitto di interessi fondamentale rende i Brics un club molto eterogeneo; la stessa ragione aveva reso impraticabile lo scenario di un fronte unito Ue-Cina contro Trump.

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9 agosto 2025 ( modifica il 9 agosto 2025 | 07:02)

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