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Grano emiliano, coltura a rischio: «Non dà reddito». Produzione in calo del 20%

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La qualità è eccellente, decisamente migliore, per altro, rispetto alle importazioni extraeuropee che minano il mercato nazionale. Ma, in Emilia-Romagna la coltivazione di grano non è più redditizia. E la produzione cala del 20%. A parlare di produzione scarsa e prezzi bassi a fronte di una qualità superiore riconosciuta di alto livello è Confagricoltura, che lancia l’allarme. «A trebbiatura pressoché conclusa — spiega, dati alla mano ricavati dal rapporto agroalimentare Regione-Unioncamere 2024. il presidente regionale dell’associazione Marcello Bonvicini, — le rese si attestano mediamente sui 50-60 quintali a ettaro, registrando un calo percentuale complessivo del 20%, con l’Emilia che va peggio della Romagna». La produzione lorda vendibile (plv) prosegue così con un calo sempre più veloce, a causa i prezzi di listino che si confermano sostanzialmente simili a quelli dell’anno scorso, appesantiti però da costi di produzione ben superiori. Il grano diventa così «una coltura a rischio, non dà reddito».

Il trend negativo

Il trend negativo della produzione era già registrato nel 2024: – 8,9% per il tenero; – 8,3% per il duro, e secondo Bonvicini, la situazione può avvantaggiare solo altri settori della filiera: «Mentre i mulini e i pastai sorridono acquistando un prodotto di alta qualità a prezzi risicati — affonda — gli agricoltori chiudono il bilancio in perdita accentuando la disaffezione verso la coltura». Solo nell’ultimo anno, infatti, gli ettari investiti a grano tenero in regione sono diminuiti dell’11,5%.

Le difficoltà

La campagna del grano, chiarisce Confagricoltura mettendo sul piatto anche le condizioni climatiche sfavorevoli, è iniziata male a causa di ritardi nelle semine autunnali e difficoltà pratiche nella coltivazione dovute all’eccesso di pioggia; il maltempo in primavera ha rallentato poi le concimazioni. In questo scenario sono lievitati i costi dei mezzi tecnici, nello specifico i fertilizzanti azotati fondamentali per lo sviluppo della spiga, tra cui l’urea che è il più importante. «E siccome piove sempre sul bagnato — insiste il numero uno degli agricoltori — all’orizzonte ci aspetta anche il divieto assoluto di impiego dell’urea nel bacino Padano a partire dal 1° gennaio 2027, come previsto dalla bozza del nuovo Piano nazionale per la qualità dell’aria. Sul mercato — chiude — non ci sono alternative valide».

L’appello di Slow Food

A proposito di restrizioni sulle coltivazioni, sul piano del mercato internazionale, Slow Food guarda all’Europa, auspicando la salvagurdia del prodotto italiano. Per quanto riguarda il grano tenero, fanno i conti, in stagioni normali l’Italia ne importa circa 8 milioni di tonnellate, principalmente da Stati Uniti, Canada, Australia, Ucraina e Russia; per quanto riguarda il grano duro, nel 2024 le importazioni all’interno dell’Ue sono ammontate a poco più di 1,7 milioni di tonnellate. Slow Food chiede che ai prodotti importati nell’Ue «vengano applicate le stesse norme in vigore per le produzioni comunitarie».


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3 luglio 2025

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