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Il leopardo delle nevi è chiamato dalle popolazioni locali degli altipiani asiatici il «fantasma delle montagne». Perché lo si vede poco. Da sempre. È il più misterioso e il più fuggente dei grandi felini. Ma è anche una specie in via di estinzione. Ieri se n’è celebrata la «Giornata internazionale». E’ una delle tante «Giornate» dedicate di volta in volta ad una specie animale che si susseguono nel calendario. Spesso si tratta di specie in pericolo.
Si dibatte spesso dell’utilità di queste celebrazioni. Vale anche per quelle che riguardano la vita degli esseri umani. Su un aspetto però di solito ci si trova d’accordo: sono un modo per interrompere il silenzio. Se di qualcosa non si parla, semplicemente non esiste. Diventa «fantasma», proprio come il nostro amico felino. Di cui raccontiamo QUI le vicende e lo stato – molto precario – di conservazione. E il fatto che a metterlo a rischio siano le interferenze umane (allevamento, riduzione degli habitat, bracconaggio). Oltre al cambiamento climatico, che influenza sempre di più tutto quanto, anche se ancora le istituzioni non ne prendono atto e non lo affrontano seriamente. Da questo punto di vista, anzi, si fanno sempre più passi indietro, con la politica ormai distratta da altro e pronta a sacrificare l’ambiente ad altre priorità. Che si tratti di riarmo o di politiche che assecondino la pancia delle persone. I valori ambientali non sono quotati in Borsa, come faceva sempre notare Fulco Pratesi, non danno un rendimento immediato. Sono visti solo come dei costi, che peraltro non garantiscono un consenso immediato. Ma dovrebbero essere considerati un investimento per il futuro. «Perché prima o poi la natura ci chiederà un prezzo per i danni che stiamo facendo. E a quel punto il conto sarà decisamente più alto».
A dirlo è Giuseppe Notarbartolo di Sciara, che nella vita è stato tante cose e che fu tra i fondatori dell’Istituto Tethys, un’organizzazione scientifica dedicata allo studio e alla protezione della fauna marina. E che fu il visionario a cui si deve l’istituzione del Santuario Pelagos, l’area protetta internazionale che copre il mar Ligure, il Tirreno e le acque prospicenti la Costa Azzurra e che è stato frutto di un accordo internazionale tra Italia, Francia e Principato di Monaco, ancora oggi esempio di quanto la diplomazia applicata all’ambiente possa funzionare. Esce oggi il suo libro, Meraviglie di un mare ferito (Enrico Damiani Editore), che è una sorta di manifesto politico, un invito ad agire prima che sia troppo tardi. Una call-to-action che questo scienziato di 76 anni che nella vita ha avuto molte soddisfazioni (è stato anche ai vertici di importanti enti di ricerca e per la protezione ambientale) lancia proprio mentre il mondo istituzionale fa passi indietro e anche l’opinione pubblica è assopita, quasi sollevata dal fatto che non si parli più così tanto di emergenza ambientale, di transizione ecologica, di cambiamenti. Ma questo, fa notare Notarbartolo di Sciara – di cui nei prossimi giorni pubblicheremo un’ampia intervista -, significa disimpegno nei confronti delle future generazioni. Per la prima volta i padri non pensano più di dovere di lasciare ai figli un mondo migliore di quello in cui hanno vissuto loro. Tutto il contrario. Lui la speranza che si possa ancora invertire la rotta non l’ha persa e l’ha messa nero su bianco nel libro.
Una speranza encomiabile, visto quello che accade anche nel pianeta mare. Se ne parla forse meno, ma l’agonia delle acque che ci circondano è profonda. E, ancora una volta, siamo noi esseri umani ad accanirci contro quel pezzo di natura da cui pure dipendiamo. Francesco De Augustinis racconta il declino delle popolazioni di polpi, in sofferenza a causa della pesca illegale e della sovrappesca. Questa non è illegale, se non in certi casi, ma di certo è irresponsabile. Deprediamo i mari in forma diretta, sottraendo specie per la vendita diretta – in questo caso i polpi, che sono utilissimi nella catena alimentare e nella regolazione della biodiversità marina, ma vale anche per tonni, merluzzi e salmoni – e poi, accorgendoci che le specie che abbiamo saccheggiato scarseggiano proviamo ad allevarle con impianti di acquacultura che inquinano le acque e sono causa indiretta di scomparsa di un’altra ampia fetta di fauna marina, perché gli esemplari allevati vanno nutriti e per farlo utilizziamo mangimi che si ricavano dal sacrificio di tonnellate di krill e di altri piccoli pesci. Un circolo vizioso che prima o poi ci dovremo decidere a spezzare.
24 ottobre 2025 ( modifica il 24 ottobre 2025 | 17:25)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
24 ottobre 2025 ( modifica il 24 ottobre 2025 | 17:25)
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