
Sarà difficile evitare che quello sulla giustizia diventi anche un referendum su maggioranza, opposizioni e magistratura. C’è troppo trionfalismo nel modo in cui ieri il governo ha salutato l’approvazione della riforma; e troppa rabbia e frustrazione nei suoi avversari. Il fatto che Palazzo Chigi abbia additato la consultazione popolare come sbocco obbligato mentre il Parlamento ne stava ancora discutendo, ha accentuato la sensazione di una resa dei conti. E questo a prescindere dal merito del contenuto, sul quale ogni opinione è legittima.
Basta registrare qualche paradosso. Non si può ignorare che, mentre FI celebra una vittoria nel segno di Silvio Berlusconi, ritenuto un perseguitato dalla giustizia politica, l’ex pm di Mani pulite per antonomasia, Antonio Di Pietro, annuncia che sosterrà la riforma. Ancora: l’odore di scontro è così acuto da avere indotto la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, di FdI, a chiedersi se il gioco valesse la candela. Gli ha risposto il Guardasigilli, Carlo Nordio, indicato dal suo stesso partito, che «valeva un candelabro».
Non solo. Un partito dell’opposizione come Azione, guidato da Carlo Calenda, ha votato con la maggioranza. Ma lo stesso Calenda ieri ha invitato la premier Giorgia Meloni e il suo vice Antonio Tajani a non politicizzare il referendum. «La guerra alla magistratura no», ha scritto. La sfida, dunque, è sulla capacità di calibrare i toni della campagna referendaria. Anche perché la coincidenza tra «sì» alla riforma e stop della Corte dei Conti al progetto del ponte sullo Stretto di Messina può portare a un conflitto istituzionale.
Il governo ha reagito con una durezza e accuse tali da indurre la magistratura di controllo sulla spesa pubblica a reagire. E ha spinto esponenti della Lega come Luca Zaia, e di FI come Paolo Barelli a difendere le competenze della Corte dei conti, senza avallare la tesi dello sconfinamento politico. D’altronde, sono strali che l’esecutivo ha scagliato contro i magistrati a ogni decisione critica verso le sue scelte. Per questo le opposizioni additano un governo deciso, a loro avviso, a ridimensionare e addomesticare tutte le istituzioni di garanzia.
Di certo, più i toni si alzano, più si alimenta la cultura della rissa. E si trasforma l’esito referendario in un giudizio su Palazzo Chigi. La sensazione è che nella maggioranza qualcuno ritenga che l’impopolarità della magistratura e gli errori compiuti da alcuni giudici porteranno a un successo dei «sì»; e dunque preme per lo scontro. Ma sia tra i magistrati, sia nelle opposizioni c’è chi è pronto a drammatizzare il pericolo della «spallata contro la democrazia», con un estremismo simmetrico. Sarebbe un gioco spericolato, da entrambe le parti.
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30 ottobre 2025
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