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Giovanni Allevi: «Ho il rimpianto di non averlo abbracciato. Ora gli dedico la mia musica composta in ospedale, so che sorriderebbe»

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Un magico folletto, un grande compositore e pianista: Giovanni Allevi capace di entrare nel cuore di tutti con la sua musica. Un uomo coraggioso che da tempo combatte contro la malattia, convivendo con la sofferenza, e che è stato molto toccato dalla morte del Pontefice.
Maestro, se ora avesse un pianoforte e potesse suonare qualcosa per salutare Papa Francesco, che musica sceglierebbe?
«Gli dedicherei una composizione inedita: l’Adagio dal concerto MM22 per violoncello e orchestra che ho composto in ospedale, sulle note del nome “Mieloma”, la mia malattia. Nessuno lo ha ancora mai sentito, ma presto lo eseguirò in concerto. È un canto struggente colmo di umanità. Sono sicuro che da lassù Francesco ne accoglierebbe le note con il suo amatissimo sorriso».
Che emozioni si porta dentro se ripensa ai suoi concerti in piazza san Pietro davanti al Papa?
«Quella volta c’erano migliaia di giovani. Io, col cuore in gola, avevo appena finito il mio momento al pianoforte, quando mi dissero che avrei potuto incontrare Francesco di persona. Ricordo la stretta forte delle mani, il senso di familiarità, il suo sorriso limpido. Ho solo un rimpianto: avrei voluto abbracciarlo e non l’ho fatto. Ero giovane, non avevo capito che certe volte è bene seguire il cuore fino in fondo».
Oggi, il mondo intero piange Papa Francesco. E anche lei lo ha ricordato in questi giorni con parole commosse. Sono lacrime di dolore perché siamo tutti più soli? Perché ci manca la sua voce?
«Ci sentiamo orfani di un padre saggio. In questi ultimi anni, almeno io ho la sensazione che il destino del mondo sia in mano a poche persone che, magari legittimamente, portano avanti con determinazione l’interesse economico della propria nazione. Dunque, viviamo tutti nell’ansia di una possibile quanto insensata contrapposizione bellica. Papa Francesco, tra i potenti della terra, era invece l’unico ad avere a cuore il bene dell’intera umanità. Una voce fuori dal coro. È per questo che miliardi di persone adesso stanno piangendo la sua scomparsa. Viene meno l’ultimo avamposto di speranza in un mondo futuro più bello ed in pace».
La figura di Papa Francesco l’ha sentita molto vicina a sé. Perché?
«Nella sua storia rivedo umilmente la mia. Francesco ha avuto il coraggio di rinnovare l’istituzione Chiesa riportandola vicino alla gente, non solo attraverso il suo sorprendente pensiero teologico, ma anche col sorriso sincero, il tono della voce, la postura vulnerabile. Il suo pontificato ha sovvertito le gerarchie provocando sicuramente forti opposizioni interne, eppure le persone lo hanno amato da subito. Forse, nei confronti della musica classica, nella mia storia, riconosco le stesse dinamiche».
Il dolore, la malattia. Lei le sperimenta tutti i giorni sulla sua pelle, da molto tempo. Come è accaduto al Papa.
«Quando disse “Le pareti degli ospedali hanno ascoltato più preghiere sincere di molte chiese” non ho potuto non tornare con la mente alla mia lunga e sofferta degenza oncologica. Sono stato per mesi in bilico tra la vita e la morte. Ricordo anche quale fosse stata la mia preghiera sincera tra quelle pareti. Non quella di farmi guarire. Non sarebbe stato giusto nei confronti degli altri pazienti. Ho pregato Dio di darmi la forza di accettare il dolore e la paura, di accogliere ciò che il destino mi avrebbe riservato».
Quanto e come cambia la prospettiva della vita quando si soffre tanto?
«Quando si incontra la sofferenza le possibilità sono due: o ci si abbandona alla disperazione, oppure, come sapevano gli antichi alchimisti, inizia un nuovo percorso dove cadono tutte le maschere, i condizionamenti ed irrompe la vita autentica. Si riscopre lo stupore incantato per un tramonto, per un sorriso, per una voce, esplode l’immaginazione. Credo di aver intrapreso questa seconda strada. Evidentemente, Dio ha ascoltato la mia preghiera».
Il Papa raccomandava il senso dell’umorismo, sempre. Anche lei ha sempre il sorriso sul volto. Nonostante tutto. Ma soprattutto il Papa pensava agli ultimi. Forse il Pontefice della storia che più ha parlato dei poveri. Che riflessione le suscita questo?
«Quella di Papa Francesco era una lievità che si conquista dopo aver attraversato una vita turbolenta. Amo molto un verso di Baudelaire: “Felice è colui i cui pensieri si slanciano liberi come allodole nel cielo del mattino”. Francesco era proprio così e quel suo sorriso è stato una carezza per gli ultimi, per i poveri, per gli emarginati. Oggi nessuno pensa a loro poiché il mondo è inquinato dalle logiche di mercato, dalla ricerca spasmodica dell’auto affermazione e dall’ostentazione della ricchezza esteriore. Potremmo partire dall’esempio di Papa Francesco per una inversione di tendenza, verso la solidarietà, il rispetto, la compassione per la fragilità».
Una fotografia del pontificato di Bergoglio: quale sceglie?
«Il momento in cui viene interrotto durante la sua udienza da una ragazzina autistica. È un episodio di una poesia infinita. Lei rompe il cerimoniale. Di conseguenza anche Francesco esce dal tracciato che stava seguendo, abbandonandosi ad una riflessione di una tenerezza indescrivibile, sul mistero della malattia psichica, sulla bellezza dell’infanzia, sulla comprensione della diversità».
Lei crede Maestro? Ha fede o è alla ricerca?
«La domanda apre una parentesi enorme, perché le due parole non sono necessariamente in antitesi. Preferisco parlare di fiducia, riferendomi all’etimologia latina del termine fides. Nonostante le brutture, la violenza e la disparità sociale, sono fiducioso che esista un ordine superiore dove gli ultimi, i più deboli, i malati, siano riconosciuti nel loro immenso valore, nella loro dignità. Perché ogni essere umano, indipendentemente dalle condizioni esterne, custodisce in fondo al cuore una scintilla divina. È stata la malattia a condurmi verso questa nuova consapevolezza».
Il mondo aveva bisogno di una personalità come quella di Francesco: ora restano solo uomini di potere, contrapposizioni e guerre. Come facciamo da soli senza un rifermento così importante?
«Adesso sentiamo il vuoto provocato dalla sua assenza fisica. Resta però il suo esempio. Quando contemplo un capolavoro della musica del passato, come può essere una fuga di Bach, mi rendo conto che alcune opere diventano immortali perché non esauriscono mai la propria bellezza. Ecco, le parole e l’esempio di Papa Francesco sono come un’opera d’arte, che continuerà ad ispirare i cuori nel futuro, resistendo allo scorrere del tempo».

28 aprile 2025 ( modifica il 28 aprile 2025 | 10:49)

28 aprile 2025 ( modifica il 28 aprile 2025 | 10:49)

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