
I giovani del Nordest impiegati nelle aziende, o che ambiscono ad entrarvi, paiono non avere dubbi: rinuncerebbero al 5% o anche al 10% dello stipendio, se si permette loro di lavorare in modo più flessibile e col massimo ricorso allo smart working, conciliando al meglio vita professionale e privata. Almeno, l’88% di loro lo sostiene. È uno dei risultati più interessanti emersi dall’indagine condotta da Fòrema, società di formazione di Confindustria Veneto Est «Giovani, Tecnologia e Mismatch nel Nordest 2025», su un campione di 1.015 persone tra 18 e 34 anni, e sui responsabili di 486 aziende di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. L’obiettivo è stato indagare i motivi per cui non s’attenua la difficoltà di far incontrare alle imprese in cerca di personale le figure idonee.
L’obiettivo di uno stipendio «giusto»
Incrociando perciò i desiderata più frequenti dei futuri lavoratori con le caratteristiche dell’organizzazione e della qualità dei posti offerti dalle aziende, Fòrema ha messo a fuoco i punti su cui intervenire. Scoprendo inoltre alcune notevoli differenze rispetto a un’analoga ricerca condotta non più di tre anni fa, tra cui, appunto, la scoperta dell’appeal che ha un impiego con orari e modalità di svolgimento elastici, i cui pregi sono balzati alla luce durante la pandemia. E ciò sta a cuore a ben il 55% degli intervistati. Il secondo tema su cui porre attenzione, evidenzia Matteo Sinigaglia, direttore di Fòrema, introduce la questione della «giusta retribuzione». «Non parliamo di contratti a tempo indeterminato e di un lavoro sicuro per tutta la vita, prova ne sia che solo il 6% del campione ambisce ad entrare nella pubblica amministrazione, ma di una proposta del datore di lavoro che preveda uno stipendio di valore ritenuto giusto». Nella ricerca per il 53% questo argomento è molto importante.
Obiettivo tecnologia
La terza leva di attrazione, nell’analisi di Sinigaglia, è la crescita professionale: «Non vuol dire vedere un percorso di carriera, ma un arricchimento delle competenze e la possibilità di poter dire la propria nella vita aziendale». Questo lo dice il 49% dei partecipanti all’indagine, che chiederebbero anche uno spazio formativo di almeno otto ore al mese da dedicare non a temi generali ma «solo ed esclusivamente all’approccio alle tecnologie». Infine, rispetto al passato, «c’è un quarto aspetto dirompente: per il 44% è prioritario lavorare in un’azienda ad alto contenuto tecnologico. Che non significa produrre tecnologie – spiega ancora il dg di Fòrema – ma dotata di tecnologie».
Il 54 per cento delle imprese esige la presenza dei dipendenti
Dalle risposte date dalle aziende spicca in questo ambito un elemento a suo modo sorprendente. Molte di loro hanno già in casa tutto questo, ma solo un’azienda su tre lo valorizza attivamente con un’adeguata comunicazione, cosa che, ovviamente, abbatte le possibilità d’incontro con candidati validi. Ciò che comunque non funziona è l’aspetto della flessibilità: solo un’azienda su cinque ha mantenuto lo smart working dell’era Covid e il 54% esige la totale presenza dei dipendenti.
«Come Cve – è la posizione della presidente, Paola Carron – crediamo che il futuro competitivo del territorio passi da un patto generazionale nuovo, in cui la produttività si misura anche nella capacità di valorizzare le persone. È il momento di ascoltare di più i giovani, non per inseguirli, ma per costruire insieme un lavoro che abbia senso e valore per tutti». Per Luigi Gorza, presidente dei Giovani di Cve, «le nostre aziende, così come si sono adattate ai cambiamenti dei propri clienti, dovranno farlo anche per attrarre e trattenere i nuovi talenti».
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6 novembre 2025
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