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Gems fa festa per vent’anni. Stefano Mauri: «C’è da sei secoli, il libro vince»

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L’ottimismo come metodo: per fare l’editore, secondo Stefano Mauri, 64 anni, presidente e amministratore delegato di Gems, non si può essere «cupi, pessimisti tagliatori di teste». Lo spiega seduto a un tavolino a Milano, davanti a quell’Arco della Pace che, in occasione dei vent’anni di Gems, è diventato il logo del gruppo nato il 13 ottobre 2005 dalla fusione di due grandi famiglie editoriali, Mauri e Spagnol. In questo ventennio ci sono stati molti cambiamenti: «Basti pensare che dieci anni fa c’era Amazon che cresceva di anno in anno. Come diceva l’editore americano Mcmillan, avevamo l’impressione che fosse un coccodrillo che ci avrebbe mangiato un pezzo alla volta. Non è stato così: ora sono in auge le librerie e la sfida a cui guardare è l’intelligenza artificiale».

Nel 2005 avevate 9 case editrici, un fatturato stimato in 108 milioni di euro, un catalogo di oltre 5 mila titoli, 800 nuove pubblicazioni l’anno. Come li aggiorniamo?

«Con 11 società distinte e 21 marchi i titoli sono diventati 15 mila, quasi duemila novità all’anno, oltre a ebook e audiolibri che allora non esistevano. Il fatturato raggiunge i 200 milioni a valore di copertina. La crescita per acquisizioni è stata graduale, dandoci il tempo di comprendere le nuove realtà editoriali e federarle al nostro gruppo mantenendo le loro peculiarità. Ma il grosso della crescita è avvenuto grazie alle scelte editoriali».

Di che cosa va più fiero di questi vent’anni?

«Forse di essere riuscito in tutta la mia vita imprenditoriale a fare quello che mi sembrava giusto e corretto. Ad esempio difendendo sempre libertà di espressione, pluralismo e diritto d’autore nel fare l’editore e in tutte le sedi istituzionali. E aver mantenuto, credo, insieme agli altri editori e amministratori delegati del gruppo, un bel clima collaborativo tra le diversissime anime. Per dieci dei venti anni l’esordio, la voce nuova, più venduta, dell’anno in Italia era di una nostra casa editrice. Perché scoprire il talento e portarlo al successo è sicuramente la parte più entusiasmante del nostro lavoro. Non contano naturalmente solo i bestseller, ma se arrivi in cima alla classifica vuol dire che tutta l’organizzazione funziona anche per gli altri libri. E poi come imprenditori oltre alle acquisizioni in 20 anni abbiamo partecipato a fondare Chiarelettere, “Il Fatto Quotidiano”, Edigita, abbiamo fondato Duomo in Spagna, abbiamo inventato “io scrittore” che ci mette in contatto con gli aspiranti scrittori, “il libraio.it”, riferimento del settore».

Errori?

«È un mestiere basato molto sul trial and error ed è preterintenzionale. Un bravo editore ha un risultato soddisfacente 7 volte su dieci, un cattivo editore 4 o meno. Chiamiamoli effetti collaterali. Ma il lavoro su un autore spesso è e deve essere di lungo periodo».

Gems è nata con Luigi Spagnol, scomparso nel 2020.

«Spesso mi viene voglia di condividere con lui un pensiero a livello subconscio e l’istante dopo mi sovviene l’amara verità. Mi manca la sua intelligenza libera e acutissima, e anche il suo humor, ma ha lasciato case editrici creative e ben guidate. C’era anche Achille Mauri tra i fondatori. Mi piace ricordarne l’ottimismo senza limiti».

Negli anni il marchio che forse ha mutato di più la sua identità è Garzanti, passata da un’impronta letteraria a una più popolare.
«È un effetto ottico dovuto al fatto che recentemente ha mandato in classifica molti romanzi popolari. Garzanti ha sempre avuto anche questa vocazione, ricordo che è stato il primo editore di Ian Fleming, di Love Story, di Chocolat di Joanne Harris. Viceversa proprio oggi a proposito di letterario siamo in classifica con Estranea, di Yael Van der Wouden, un libro premiatissimo che ti dà un bacio quando meno te lo aspetti, poi un pugno nello stomaco e infine speranza. Amate da critica e pubblico anche Sigrid Nunez, Florence Knapp e Claire Kilroy tra le autrici di questi anni. Abbiamo riunito le opere di Pasolini, siamo l’editore di Claudio Magris, anche il talento naturale di Andrea Vitali va ricordato. Certo, negli ultimi anni, tra gli scrittori letterari arrivano alti in classifica alcuni solo dopo aver vinto il Nobel o altri premi prestigiosi. Non sono tempi facili».

I dati sulla lettura sono sconfortanti.
«Ci sono ampie aree di sottosviluppo, soprattutto al Sud. Fatalmente abbassano gli indici di lettura che al Nord sono invece in linea con gli altri Paesi europei. Però negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita dei lettori tra i giovani molto incoraggiante. E la lettura dei libri come dimostrerà la ricerca che presenteremo a BookCity ha una fortissima ragion d’essere. I libri sono qui da quasi 600 anni per rimanere».

Gianluca Foglia di Feltrinelli ha annunciato un taglio del 20% sulle novità di tutti i marchi del gruppo, per curare di più i libri allungandone la vita in libreria. È una soluzione?
«Noi lo abbiamo già fatto. Ogni volta che abbiamo acquistato una casa editrice abbiamo fatto questa selezione: meno libri pubblicati con più attenzione. Siamo già vaccinati. Non condivido la scorciatoia dei tagli lineari alla Tremonti, bisogna essere più selettivi caso per caso, non il 20 per cento per tutti. Dipende dai libri, non dai numeri. Io sono laureato in lettere però ho risanato diverse case editrici comprate quando erano in difficoltà. Non credo di essere un genio dell’economia, semplicemente alcune venivano gestite senza la preoccupazione di far tornare i conti».

In Italia escono circa 100 mila novità all’anno. Troppe?
«È dal ’500, poco dopo l’invenzione della stampa, che ci si lamenta dei troppi titoli pubblicati. Su questo scrissi la mia tesi di laurea. Il numero è direttamente proporzionale al grado di sviluppo di un Paese democratico. Detto questo se tutti gli editori fossero selettivi come noi — 11 per cento del mercato con duemila novità — basterebbero 20 mila novità all’anno a fare il mercato trade, quello che si trova in libreria per intenderci. I troppi titoli non sono per ragioni industriali, hanno a che fare con il desiderio di comunicare e lasciare un segno nel mondo, non sempre corrisposto dai lettori. C’è una dimensione velleitaria: i respinti dagli editori che si autopubblicano, gli industriali che scrivono le loro memorie per i figli, le istituzioni che si autocelebrano. L’arte è un appello al quale molti rispondono senza essere stati chiamati, diceva Leo Longanesi».

Gems festeggia i vent’anni anche alla Buchmesse di Francoforte. L’anno scorso la missione italiana come Paese ospite è stata accompagnata da polemiche che si sono mangiate il resto. È stata un’occasione mancata?
«No, perché è stata un’operazione partita quattro anni prima, ai tempi di Dario Franceschini ministro della Cultura. Sono stati stanziati fondi che hanno sovvenzionato le traduzioni italiane che sicuramente hanno portato un risultato, cosa che altri Paesi fanno con più regolarità. Poi la manifestazione vale quello che vale, agli incontri comunque c’era anche più gente di quello che mi aspettavo».

Però è stato un pasticcio per l’immagine che abbiamo dato, con l’esclusione di Roberto Saviano che ha portato con sé altre defezioni.
«Vorrei ricordare che l’editore tedesco di Saviano è stato il primo a dire che succede sempre, con ogni Paese, che ci si lamenti dell’esclusione di qualcuno. In quel caso più che l’esclusione di Saviano sono le parole di Mauro Mazza nei suoi confronti ad essere state una deliberata provocazione».

La censura comunque a Francoforte è diventato il tema dominante.
«Ogni tanto i membri di questo governo si comportano come se ci fosse un organismo centrale che decide che cosa si pubblica e che cosa no, mentre il bello del libro è la sua anarchia: primo perché ci sono migliaia di scrittori che scrivono quello che vogliono e la costituzione li difende. Secondo perché anche i lettori in libreria hanno un comportamento anarchico, non c’è un ossequio al potere».

Tutto questo è stato legato al dibattito sull’egemonia culturale della sinistra. Esiste?
«Io penso che la sinistra abbia un’egemonia sulla cultura della sinistra. In un’accezione ampia di “culturale” mi sembra che la tv sia stata dominata dalla destra, prima quella privata e poi quella pubblica. Sicuramente la sinistra ha un vivo spirito critico, mentre la destra, come è nel suo Dna, vuole un leader da seguire».

I libri a volte arrivano in modo strano. Per esempio è particolare la storia di Donato Carrisi a Longanesi.
«L’agente Luigi Bernabò mi mandò il manoscritto usando una strategia nuova, che è sempre una buona cosa. Era un venerdì, disse che lo aveva dato non ai direttori editoriali, ma ai capi dei tre grandi gruppi. Lo lessi nel fine settimana, mi piacque e il lunedì lo presi».

Se venisse a sapere che pubblica con un altro editore lo considererebbe un tradimento?
«Diciamo che non lo vivrei bene. Penserei a uno scherzo, pratica che non gli è estranea».

Un altro autore voluto da lei è Ildefonso Falcones.
«Quando seppi che c’era questo romanzo spagnolo, La cattedrale del mare, che ricordava I pilastri della terra di Ken Follett che mi era piaciuto molto, mi sono seduto sul tavolo dell’agente alla fiera di Londra finché non si è decisa a dirmi quanto voleva. Poi con lui ho sempre avuto un rapporto di amicizia, anche se non sempre sono d’accordo con le sue idee».

Una bandiera di Garzanti è Claudio Magris.
«È sorprendente che un autore di quella statura, di quel calibro, che ha la più grande consapevolezza linguistica possibile, uno che quando scrive un libro ne scrive un altro per spiegare ai traduttori certe sfumature, sia anche una persona così piacevole, simpatica, spiritosa, capace di autoironia come Claudio. Non ci siamo mai annoiati con lui».

Un autore che le piacerebbe prendere dalla concorrenza?
«Tanti. La caratteristica del nostro mestiere, che dà agli editori un senso di comunità più che di concorrenza, è il fatto che spesso ti piacciono anche i libri degli altri. Sarebbe patologico il contrario».

Editoria e intelligenza artificiale. Quali possono essere i vantaggi, quali i rischi?
«Innanzitutto c’è un problema di copyright: troppe zone grigie e troppa avidità di aziende miliardarie che in alcuni casi hanno usato i siti pirata per addestrare le loro intelligenze artificiali con gli ebook. Piuttosto vergognoso. Come se le Ferrari montassero gomme rubate. Gli artigiani del libro, cioè autori, illustratori, traduttori, potranno farsi aiutare a volte da queste innovazioni ma devono padroneggiare la materia. Dopo l’afflusso di molto materiale sospettato di essere generato dall’intelligenza artificiale Amazon ha messo un limite di 3 libri al giorno che un soggetto può autopubblicare. A volte ci può sorprendere, ad esempio con una buona scrittura o una veloce traduzione o una illustrazione che costa poco tempo e risorse, ma incappa anche in grossolani errori. Le cosiddette allucinazioni, sviste grosse ben mimetizzate. Come diceva Terry Pratchett se in un secchio di letame metti una goccia di birra rimane un secchio di letame, ma se in un secchio di birra metti una goccia di letame diventa un secchio di letame».

12 ottobre 2025 (modifica il 12 ottobre 2025 | 12:34)

12 ottobre 2025 (modifica il 12 ottobre 2025 | 12:34)

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