Home / Esteri / Gaza, inizia la fase 2: serviranno migliaia di soldati per la forza di pace, il nodo del disarmo di Hamas

Gaza, inizia la fase 2: serviranno migliaia di soldati per la forza di pace, il nodo del disarmo di Hamas

//?#

Sono le parole di uno dei mediatori più importanti, il premier del Qatar Mohammed Abdulraham al Tani. In un’intervista al New York Times ha confermato che si è deciso di raggiungere l’intesa su ostaggi/prigionieri lasciando a future trattative la soluzione delle questioni più toste. Perché le parti non sono ancora pronte per il compromesso. Lo si era capito, il negoziatore ha solo lanciato in vista della fase due.

La fase due dell’accordo prevede lo schieramento della forza di stabilizzazione internazionale, l’Isf. Al momento ci sono pochi dettagli sulla composizione. Solo gli Usa hanno messo il primo tassello istituendo il centro di comando nella base israeliana di Hatzor con l’invio di 200 soldati. L’avanguardia, però, non entrerà a Gaza. Il resto del contingente e le regole di ingaggio vanno discusse. Il piano ha previsto la partecipazione di Qatar, Turchia, Egitto e forse Emirati. Serviranno migliaia di uomini: egiziani e turchi li hanno, a loro potrebbero aggiungersi gli indonesiani e altri Paesi musulmani. Il Cairo ha fatto sapere di addestrare, insieme ai giordani, 5 mila poliziotti palestinesi. Un ruolo di training che magari sarà integrato da programmi analoghi (paralleli all’iniziativa statunitense) dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Tra questi l’Italia. 

I tempi

Serve tempo in quanto ci vogliono garanzie, linee guida, numeri, obiettivi. I soldati devono garantire ordine e sicurezza, dare protezione ai civili, assistere il governo di tecnocrati (da formare anche quello) e il «board», l’organismo chiamato ad accompagnare la transizione. Come è noto si è fatto il nome dell’ex premier britannico Tony Blair in qualità di supervisore, personalità subita «impallinata» da Hamas e non solo: è sgradito. Più morbida sul candidato inglese la posizione dell’Autorità palestinese.

Trump ha fiutato l’aria ed ha messo le mani avanti: «Tony mi è sempre piaciuto, però bisogna capire se tutti lo accetteranno». Insomma, pare più fuori che dentro. E ieri il presidente statunitense ha aggiunto alla lista dei papabili il leader egiziano Al Sisi, un riconoscimento per il suo ruolo nella crisi.

Il governo

Ancora il fattore tempo. In attesa dell’Idf, Hamas si riprende gli spazi, elimina brutalmente gli avversari, attacca i clan nemici in diversi settori della Striscia. In azione l’Unità Ombra, il lungo braccio delle Brigate al Kassam. Le immagini mostrano regolamenti di conti e mosse per evitare il caos, una situazione che Trump ha definito temporanea ed è sembrato persino tollerarla. La Casa Bianca, nel tentativo di salvaguardare ciò che è stato raggiunto, fa degli sconti. A scadenza. L’Economist sottolinea un rischio paventato nei giorni scorsi: il movimento lascia che siano altri palestinesi a governare la Striscia — come prevede il piano — ma mantiene di fatto il potere e la capacità di influenzare gli eventi.

Gli unici che in teoria possono frenare i mujaheddin sono i mediatori-sponsor, gli stessi che hanno costretto la fazione ad accettare lo scambio. Qatar e Turchia, per piegare la resistenza, hanno minacciato di espellere i dirigenti togliendo loro qualsiasi copertura. Secondo il Wall Street Journal il diktat ha convinto Khalil al Hayya a cambiare idea, «rassicurato» da un faccia a faccia con l’inviato americano Steve Witkoff e il genero di Trump, Jared Kushner. Particolare rivelato dal sito Axios che evidenzia come il duo spedito dalla Casa Bianca non avesse limiti o linee rosse. 

Le armi

La vera prova del nove sta nel disarmo di Hamas e della moltitudine di formazioni. Dopo aver detto sì i dirigenti hanno fatto sbarramento escludendo di cedere l’intero arsenale. Sono ancora i qatarini a indicare un doppio scoglio: se e come consegnare fucili, lanciagranate, razzi, esplosivi (perché di questo si tratta); a chi, eventualmente, consegnarli.

La violazione — seria — può diventare motivo per una reazione dell’Idf. C’è sempre il pericolo di una ripresa dell’offensiva, di un rinvio del ripiegamento, di nuovi strike. Le date del ritiro israeliano non sono state scritte sul calendario, anche qui c’è un margine di manovra. Le esperienze del passato suonano come un monito. Durante la seconda intifada gli Usa idearono un meccanismo concatenato (il piano Zinni) per costringere le parti a rispettarlo. Non si ebbe il risultato sperato perché bastava bloccare una tappa per compromettere il resto. I sabotatori sono di casa in Medio Oriente.

14 ottobre 2025

14 ottobre 2025

Fonte Originale