
Giorgia Meloni è rientrata in Italia dall’Egitto, dopo aver presenziato ad una cerimonia storica, con almeno una consapevolezza: «Ora si apre una fase delicata in cui occorrerà molta concretezza e in cui il primo obiettivo sarà quello della stabilizzazione militare». In tutte le cancellerie, quelle europee come quelle arabe, non c’è ancora chiarezza sulla road map del processo di pace designato da Washington. Di sicuro dovranno arrivare delle forze armate straniere e non solo americane: e qui l’Italia è pronta, ma occorre un mandato dell’Onu, che il nostro governo ritiene irrinunciabile, oltre ad un seguente passaggio parlamentare. E su questo arriva l’apertura del Pd con il responsabile Esteri Giuseppe Provenzano: «Lo chiediamo dal novembre del 2023. Siamo pronti a fare la nostra parte, vogliamo discuterne in Parlamento perché è necessario farlo».
Quando a Sharm la premier ha detto che l’Italia sta stilando una sorta di lista di disponibilità, un «paper», intendeva sia un percorso con alcuni passaggi di metodo, sia un ventaglio di esperienze che Roma ha ed è in grado di offrire. Ieri nel corso del Cdm Meloni ha chiesto a tutti i ministri coinvolti di fare il punto sui progetti possibili, in primo luogo sul fronte umanitario.
Sono già in corso 128 progetti di cooperazione tra doni e crediti d’aiuto per un valore totale di circa 298 milioni di euro. E Roma ha già pianificato alcuni progetti sulla ricostruzione di Gaza, finanziando lo scorso anno il “Supporting the Gaza Recovery, Reconstruction, and Development (GRRD) Planning Project” attuato da UNDP e dall’Autorità Palestinese-ANP (5 milioni di euro), con il coinvolgimento dell’Università di Venezia.
Ma oltre agli investimenti nel settore sanitario (con la previsione di almeno due ospedali) e delle infrastrutture (ricostruzione di strade, palazzi, scuole) un ulteriore settore di intervento in ambito umanitario potrebbe essere quello dello sminamento (rimozione degli ordigni inesplosi) e della riabilitazione vittime (protesica). E poi ci sono sinergie significative con le tante organizzazioni internazionali, comprese quelle delle Nazioni Unite. Ed è in fase di valutazione la possibilità di un nostro contributo per la rimozione delle macerie, presupposto per la ricostruzione.
Antonio Tajani, ministro degli Esteri, ieri ha presieduto diverse riunioni sul tema: «Oggi c’è stata una riunione operativa presieduta dall’ambasciatore Archi, che io vorrei nominare inviato speciale del ministero per Gaza. Si è cominciato a fare il punto della situazione su ciò che possiamo mandare abbiamo già raccolto centinaia di centinaia di tonnellate di viveri. Del progetto Food for Gaza fanno parte anche Israele e l’Autorità nazionale palestinese, e andremo ad accelerare i tempi della distribuzione alimentare. Abbiamo sempre detto che è complicato ma bisogna lavorare giorno per giorno». L’ambasciatore Bruno Archi, attuale rappresentante permanente presso il Polo romano delle Nazioni Unite, già consigliere diplomatico di Berlusconi, ha coperto un ruolo di primo piano nel coordinamento del piano Food for Gaza. Il governo sta anche valutando con la Protezione civile l’invio di moduli prefabbricati tipo post terremoto, per abitazione, ospedali o scuole. E si stanno raccogliendo da almeno sei ospedali italiani di eccellenza progetti di diversa natura.
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15 ottobre 2025
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