
DAL NOSTRO INVIATO
IL CAIRO – Il sorriso di Al Sisi a fianco di Trump è passato direttamente dal palcoscenico di Sharm el Sheikh ai cartelloni pubblicitari del Cairo. «Lo voglio nel board di Gaza» ha detto l’americano del collega egiziano e poi: «È stato molto importante» per la tregua perché «Hamas rispetta l’Egitto». Nell’era post-diplomatica di The Donald, dove negoziati e clausole valgono meno delle amichevoli strette di mano, Il Cairo del generale Abdel Fattah al Sisi si è ritagliato un posto in prima fila. «Egitto terra di pace» è scritto sui manifesti celebrativi e non importa se al Cairo i murales celebrano ancora le truppe del presidente Nasser che sorpresero Israele nel 1973 passando il Canale di Suez. Fu la prima volta che gli arabi pensarono di combattere alla pari con un esercito «bianco» come l’israeliano.
Ora il successore del sognatore dell’unità araba ha buoni motivi per impegnarsi a Gaza. Riguardano più la sua sopravvivenza che l’espansionismo di Nasser. Trump ha annunciato 200 soldati Usa a monitorare la tregua. Al Sisi ha subito pareggiato la puntata. Altri sono attesi. Di 200 in 200 però non si va in pattuglia in un territorio senza legge com’è Gaza oggi. Al momento si ipotizzano solo osservatori o al massimo tecnici come gli egiziani che dentro l’inferno della Striscia aiutano Hamas a cercare i cadaveri degli ostaggi israeliani.
Se si vorrà la pace qualcuno dovrà pensare a una forza di interposizione tra Hamas e Israele e poi a una di stabilizzazione. Anche qui Al Sisi ha la mano più importante al momento: i 5 mila poliziotti palestinesi dell’Autorità nazionale di Cisgiordania li sta addestrando lui.
Senza consenso non basteranno: Israele ha perso 468 soldati nel tentativo di conquistare la Striscia e non sono bastati. Nessuno è disposto a giocare tante vite di suoi. Quindi ci vuole l’ok di Hamas. E qui l’Egitto è fondamentale. Un esempio. Gli israeliani sono ben assestati nel Corridoio Filadelfia al valico di Rafah, hanno sonar ed esplosivi per bloccare i passaggi sotterranei, ma le armi arrivano lo stesso ad Hamas attraverso i «tunnel volanti».
Uno stormo di droni da trasporto vola ogni notte. I soldati israeliani ne abbattono 12 a notte, ma la notte dopo ne decollano ancora 25. Ieri Netanyahu ha ordinato un rapporto entro due mesi su come bloccare i voli delle armi tra Egitto e la Striscia. Due mesi per dei suggerimenti? Hamas armato non merita più velocità? Dovrebbe essere un problema anche per Al Sisi perché i contrabbandieri sono gli stessi islamisti che l’hanno combattuto in Sinai per anni.
Eppure i trafficanti continuano a lavorare. Forse è l’ennesimo favore tra nemici come solo in Medio Oriente. Un modo per ottenere quel «rispetto» di cui ha parlato Trump. L’Egitto è centrale anche sul fronte politico. Il ministro degli Esteri ha selezionato 15 nomi di tecnocrati palestinesi («senza affiliazioni politiche» ha imposto Trump) che dovrebbero guidare la transizione. Se passeranno il check di Israele e resteranno in vita sino all’apertura dei loro uffici vorrà dire che anche Hamas acconsente.
Negli ambienti del Cairo si vocifera di uno o due mesi per l’insediamento dei 15 pontieri e del giugno 2026 per l’ingresso in scena di un’autorità palestinese politica. Potrebbe essere quella che governa la Cisgiordania, potrebbe essere altro come vuole Israele che è allergica all’unità amministrativa e politica tra Gaza e Cisgiordania. Molto passa dalle capacità del Cairo di far convergere gli interessi di tutti. L’Egitto ha bisogno di andare d’accordo con palestinesi e israeliani e che si riappacifichino tra loro. Non può permettersi l’esodo dei gazawi in Sinai né una guerra con Israele.
Non solo perché troppo forte, ma anche per continuare a importare il 20% della propria energia dai giacimenti off shore israeliani. Importante anche l’amicizia con Washington che finanzia il suo esercito con 1,3 miliardi di dollari l’anno e influenza il Fondo monetario internazionale sui prestiti. La disoccupazione egiziana è a livelli record, l’opposizione popolare a una politica pro Israeliana oltre il 90%. Ce n’è per una nuova rivolta stile Piazza Tahrir. Sempre che Hamas e Israele non riescano a fare la pace. Conviene a loro, conviene ad Al Sisi.
15 ottobre 2025
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