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Gabriele Celia: «Il mio Boomer Milanese è il bauscia della porta accanto, lo spaccone da bar. Mi sono ispirato anche a papà (e ora svelo chi sono)»

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Il prototipo del «bauscia». Uno sbruffone, uno che si dà delle arie, un cialtrone, aedo moderno che racconta storie esagerate, ingigantite, se non inventate. Uno che la sa sempre più lunga degli altri, che ha una risposta a tutto, che ha vissuto meglio degli altri. Racconta di quando i Beatles lo volevano prendere come batterista, di quando ha avuto quel flirt con Moana Pozzi e quell’altro con Monica Bellucci, di quando ha fatto la controfigura in Top Gun, di quel talento per il calcio sfumato per «il maledetto crociato», del rapporto con Trump: «Ci conosciamo da una vita, dai tempi in cui prendevo il Concorde e andavamo a fare serata allo Studio 54». Parole e invenzioni del Boomer Milanese (400mila follower su Instagram, 250mila su TikTok). Dietro a una delle nuove maschere che invade i social di presenza e visualizzazioni c’è Gabriele Celia (nomen omen, la celia come categoria dello spirito), che per la prima volta rivela qui la sua identità.

In un’epoca in cui semplicemente apparire è diventato un valore, lei è uno dei pochi che non vuole cavalcare il successo?
«Il filtro che rende iperbolico il mio volto è un biglietto da visita che fa capire sin da subito che il Boomer non ci è, ma ci fa: è una maschera che rende immediatamente esplicito il messaggio del personaggio. Poi è diventato un elemento di repertorio, un soggetto indefinito ma ben definito, una macchietta che si respira nella quotidianità, che incontri ovunque».

Il vero volto non funzionerebbe?
«Magari sì, ma se mi esponessi con il mio vero volto, vestito in doppio petto, a raccontare che sono stato con Moana Pozzi credo che avrei molti più hater di quanti oggi invece sono disposti a mettermi un like. La gente purtroppo con i social, con questa bulimia comunicativa, ha perso la capacità critica».

Chi è il Boomer Milanese?
«Lo vedo come un personaggio che nasce dalla Milano di Tangentopoli, impregnato di quel sistema valoriale: un’epoca di furbastri, di fecondi chiacchieroni, in una città che era il centro del potere, del denaro e dell’illusione dell’onnipotenza. Il Boomer crede di essere un Padreterno, lui sa fare tutto. Devi riparare la macchina? Non c’è bisogno del meccanico, ci pensa lui. Sei a letto con la febbre? Non c’è problema, lui ha studiato Medicina con Jannacci».

Bauscia e dunque interista: come vede il Boomer la vicenda di San Siro?
«Per lui lo stadio è un tempio sacro, non può essere favorevole alla sua demolizione. Lui lì ci ha scritto Luci a San Siro a quattro mani con Vecchioni».

Il Boomer e la politica.
«A lui della politica non gliene frega niente, se non per interesse personale. Negli anni ‘70 andava a protestare per il Vietnam senza sapere neanche dove fosse sulla cartina geografica. Poi dopo è diventato un berlusconiano di ferro perché Berlusconi personifica la bella vita, la vita del gaudente: è il martire del piacere. Che sia di destra o di sinistra poco conta, è un opportunista».

«Via Della Spiga, Hotel Cristallo di Cortina… 2 ore 54 minuti 27 secondi… Alboreto is nothing». Il suo personaggio è in qualche modo imparentato con il Dogui, il «cumenda» interpretato da Guido Nicheli?
«Nonostante le analogie, il Boomer Milanese non nasce per scimmiottare il Dogui. Dal punto di vista del folklore lui rappresenta il cumenda, il milanese arricchito dal boom economico. Il Boomer invece è il bauscia: lo spaccone da bar, decisamente più cazzaro e millantatore».

Un’altra maschera contemporanea è quella del Milanese Imbruttito, il Germano Lanzoni «alle prese con gli sbatti della vita quotidiana della city». In cosa sono diversi?
«Penso che non abbiano nessun punto di contatto, se non l’origine cittadina. Il Milanese Imbruttito è incatenato nella routine lavorativa, non vive la notte, vive la frenesia del lavoro, la giornata in ufficio. Il mio Boomer, del lavoro, non vuole nemmeno sentir parlare, sta sempre al bar. Uno è l’interprete della milanesità contemporanea, del ceto più impiegatizio. Il Boomer invece è proprio un dandy, uno che al lavoro preferisce il bar e alla famiglia preferisce i locali notturni».

Il suo lavoro vero, al di là del Boomer?
«In passato sono stato allievo di pittori professionisti che mi hanno avvicinato al mondo della pittura, sia come autore di opere sia per la compravendita. Poi sono diventato consulente aziendale assicurativo, ma nell’ultimo anno l’attività da creator ha “compromesso” il mio lavoro di tutti i giorni. Sto cercando di capire come muovermi».

Come ha iniziato l’attività sui social?
«Per puro caso, per gioco, come attività ludica, nel luglio dell’anno scorso con qualche video fatto in maniera disimpegnata e disinteressata. Ho provato a pubblicare i primi contenuti sui social pur non avendo alcun tipo di nozione o di conoscenza dei meccanismi virali, e da lì poi è nato tutto».

Sorpreso dalle visualizzazioni?
«In realtà me le hanno fatte notare gli amici, perché io neanche sapevo che i miei reel erano diventati virali. E i miei amici, conoscendomi, hanno subito capito che ero io, nonostante non avessi detto nulla a nessuno».

Ora qualcuno la riconosce?
«Ultimamente sì, infatti sto iniziando ad avere quasi una crisi d’identità. Il fenomeno è oggetto di studio da parte di eminenti scienziati delle principali università americane, perché fino a qualche tempo fa non mi riconoscevano e non capisco come mai succeda ora. Forse chi ha l’occhio attento capisce chi sono perché in fondo nei video c’è la mia faccia storpiata: i miei amici mi dicono che assomiglio a quello che sarò tra vent’anni».

Ha anche una certa vena attoriale.
«Sin da quando ero ragazzino mi dicevano che avrei dovuto fare recitazione, perché sono abbastanza teatrale di mio nel modo di parlare e di gesticolare. Imitavo il collega di lavoro, imitavo l’amico, mi viene naturale imitare i dialetti. Tanto che molti addetti ai lavori mi chiedono dove ho studiato, anche se non ho mai fatto una scuola di recitazione».

Lei è del 1985. Come fa a raccontare certi dettagli, certe sfumature di una Milano che non ha vissuto in prima persona.
«Anche se ero un bambino, ho una memoria molto fotografica di quegli anni perché sono sempre stato un attento osservatore. Mani Pulite la ricordo bene anche se ero piccolo. E poi quella Milano l’ho vissuta attraverso i racconti di mio padre, lui aveva tutte le caratteristiche del bauscia, aveva quello spirito: mi sono ispirato a lui».

In fondo lei è boomer dentro?
«Sono figlio di una generazione a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio degli anni 2000, ma mi sento molto più vicino al secolo scorso».

Nei suoi reel fa spesso riferimento ai suoi amici, il Giangi e il Buslaghi: chi sono?
«Sono personaggi che si ispirano ad amici con cui ho trascorso la mia adolescenza e che ho perso perché ognuno ha preso strade diverse. Sono il prototipo di quegli amici cazzoni, compagni di goliardia che tutti quanti abbiamo. L’aspetto molto conviviale andato perso con i social viene riportato alla luce da queste due figure. Le loro storie per quanto ingigantite prendono spunto da racconti veri».

Ansia da visualizzazioni?
«Sento la responsabilità di dover essere creativo, ma so che più mi rendo spontaneo nel mio modo di fare e più un video funziona».

Ha monetizzato questo successo?
«Mi presto a fare sponsorizzazioni. Ma non so se diventerà il mio primo lavoro. Lo sforzo va in quella direzione».

È stato candidato all’Ambrogino d’oro.
«Un periodo difficile mi ha portato a creare qualcosa di inaspettato: se un anno fa mi avessero detto che avrei potuto concorrere per l’Ambrogino non ci avrei mai creduto. Spesso poi chi fa comicità sui social non viene preso molto seriamente. Scoprire di essere candidato a un premio così prestigioso, nella mia città, è già una vittoria».

Deluso di non averlo vinto?
«Sarebbe stato incredibile. L’unico premio che ho mai vinto sono stati due euro al Gratta e Vinci che ho subito rigiocato e perso».

20 novembre 2025

20 novembre 2025

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