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Froman: «I dazi? Un esperimento rischioso che isola l’America mentre il mondo si integra»

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NEW YORK — «I dazi di Trump sono un esperimento economico rischioso: mentre gli Usa si chiudono, il resto del mondo persegue l’integrazione commerciale», avverte Michael Froman, presidente del Council on Foreign Relations ed ex rappresentante per il commercio di Barack Obama.

Quale sarà l’impatto dei dazi americani?
«Trump è interessato alle tariffe per tre diverse ragioni. La prima è come leva negoziale per portare altri Paesi al tavolo delle trattative. Può negoziare su questioni come il fentanyl o la migrazione, come abbiamo visto con Canada, Messico e Colombia. Secondariamente, per le entrate fiscali. Parla di raccogliere centinaia di miliardi, persino 6 trilioni secondo un funzionario, per finanziare i suoi tagli fiscali o potenzialmente sostituire l’imposta sul reddito. La terza ragione, che credo sia quella che lo motiva davvero, è la reindustrializzazione dell’economia americana. Ritiene che costruendo un muro tariffario, le aziende che tengono al mercato americano dovranno spostare qui produzione e catene di approvvigionamento. C’è però una contraddizione evidente: se si riesce a riportare la produzione negli Stati Uniti, si vedranno meno importazioni e quindi meno entrate. Se invece si raccolgono molte entrate, significa che il tentativo di riportare la produzione nel Paese è fallito».

Questo danneggerà il consumatore americano?
«Sì, il consumatore americano pagherà un prezzo elevato. Ma questa amministrazione non sembra preoccuparsene. Hanno dichiarato esplicitamente che “l’accesso a beni di consumo a basso costo non è il sogno americano”. Il presidente ha avvertito che attraverseremo un periodo di transizione difficile, promettendo però che alla fine raggiungeremo una nuova età dell’oro».

Ci crede?
«Ritengo che l’America sia già in un’età dell’oro. Siamo l’economia più innovativa al mondo, invidiata per il tasso di crescita e per l’innovazione. È il motivo per cui ogni imprenditore globale vuole venire negli Stati Uniti. Questo non significa che non ci siano persone lasciate indietro e che non servano politiche migliori per garantire benefici a tutti».

Quindi?
«Guardando alla storia, ciò che propone Trump non è molto diverso dall’esperienza della sostituzione delle importazioni nei mercati emergenti. L’Argentina e altri Paesi hanno cercato di chiudere la loro economia e sostituire le importazioni con produzione nazionale. Siamo diversi dall’Argentina per molte ragioni, ma quell’approccio non ha mai creato economie veramente competitive ed efficienti».

Trump ha sospeso le tariffe reciproche con l’Ue per 90 giorni. È un tempo sufficiente per negoziare un accordo equo?
«Dipende dagli obiettivi. L’Ue è altamente protezionista: abbiamo una tariffa doganale media pre-Trump del 3%, mentre l’Ue ha il 7%. Sulle auto abbiamo il 2,5%, loro il 10%. Inoltre hanno molte barriere non tariffarie. L’Ue dovrebbe proporre di abbassare i dazi al livello americano o, meglio ancora, entrambi dovrebbero portarli a zero. La sfida è che servono più di 90 giorni per negoziare, considerando i numerosi gruppi di interesse che vorrebbero un’eliminazione graduale delle tariffe».

Sulla Cina Trump ha messo dazi reciproci del 145%. Quanto è rischioso questo approccio verso Pechino?
«L’amministrazione sembra orientata verso un vero disaccoppiamento economico. Dazi all’80, 100 o 145% diventano proibitivi e semplicemente non si comprano più quei prodotti. Sarebbe stato preferibile un approccio più mirato, simile in parte a quello dell’amministrazione Biden: concentrarsi su settori strategici per la sicurezza nazionale e la competitività, come microchip, veicoli elettrici o tecnologie avanzate. Non è strategico produrre calzini o t-shirt negli Stati Uniti; imporre tariffe su questi articoli genera solo costi maggiori per i consumatori».

Trump promise di risolvere la guerra in Ucraina in un giorno. Ma la situazione in stallo…
«Trump ha chiarito che è tempo di porre fine alla guerra, e molti concordano. La questione è: a quali condizioni? Putin non ha modificato le sue richieste massimaliste e continua i bombardamenti. La domanda è se Trump possa convincere Putin a modificare le sue posizioni per un accordo che permetta all’Ucraina di essere un Paese sicuro, prospero e indipendente integrato con l’Occidente. Trump ha anche chiarito che l’Europa dovrà assumere un ruolo maggiore nella sicurezza regionale. Gli Stati Uniti non avranno truppe sul terreno e ridurranno il loro ruolo guida».

Quale soluzione vede per il Medio Oriente?
«La situazione è profondamente cambiata nell’ultimo anno: Hamas è stato militarmente neutralizzato, Hezbollah indebolito, la minaccia missilistica iraniana efficacemente contrastata, e continuano gli sforzi contro gli Houthi. L’Iran ha perso la capacità dei suoi proxy, le sue difese aeree e la sua minaccia missilistica. È vulnerabile, con un’economia in grave difficoltà e crescente malcontento sociale. La questione ora è se questo sia il momento migliore per un accordo o per considerare un’azione militare».

Che cosa farebbe se fosse il rappresentante commerciale di Trump?
«I critici della globalizzazione hanno ragione nel sottolineare la scarsa attenzione verso chi ne è stato danneggiato. Tuttavia, la soluzione non è smantellare il sistema commerciale internazionale, ma garantire che lavoratori e comunità possano prosperare in un’economia in rapido cambiamento, sia essa influenzata dalla globalizzazione, dall’immigrazione o dalla tecnologia. Condivido con Trump l’idea di ridurre le barriere commerciali sproporzionatamente alte di altri Paesi. È per questo che abbiamo creato il Partenariato Trans-Pacifico e tentato quello Transatlantico».

Ma il Ttip è fallito.
«Per colpa dell’Europa,  ero tra i negoziatori».

La globalizzazione è al tramonto?
«No. Mentre gli Usa conducono questo esperimento, il resto del mondo continua a perseguire l’integrazione. L’Ue ha firmato un accordo con il Mercosur dopo 30 anni di negoziati e sta trattando con l’India. L’Indo-Pacifico vede crescente interazione tra Asean, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e altri. Il resto del mondo continua a riconoscere i benefici dell’integrazione».

È la fine dell’amicizia tra Europa e Stati Uniti?
«No, abbiamo ancora valori e interessi fondamentalmente condivisi. Non vedo l’Europa affidarsi a Russia o Cina per la sicurezza o adottare il modello economico cinese. Usa ed Europa mantengono molti interessi comuni e troveranno il modo di superare queste sfide attuali».

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19 aprile 2025

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