
E con Gasparato al Porto, Fratelli d’Italia fa quattro. Poker di «commis» di Stato. Il partito di Giorgia Meloni si ascrive la nomina del soprintendente Fabrizio Magani ad Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Venezia e laguna, che all’inizio di giugno è stato nominato anche nuovo direttore generale per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del ministero della Cultura. Poi c’è Nicola Colabianchi, sovrintendente alla Fenice nominato a marzo; il sindaco Luigi Brugnaro avrebbe preferito Andrea Erri, attuale direttore generale, o trevigiano Pierangelo Conte, direttore artistico del Teatro Carlo Felice di Genova. Da Genova arrivava anche Alberto Rossi, gradito alla Lega e pure al primo cittadino per il porto, ma alla fine ha vinto Gasparato. Ovviamente di area è Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale.
I posti chiave
Se non è egemonia culturale della destra praticata sul campo, è uno stretto succedaneo. I posti chiave dei ministeri in città in mano a uomini scelti da FdI. «È un sano spoil system – sorride Fabio Raschillà, commissario Fdi a Venezia – Alte professionalità nominate grazie all’impegno del nostro senatore Raffaele Speranzon, che rispecchiano filosofie che rispondono agli obiettivi di Fratelli d’Italia». «La solita spartizione tra partiti di maggioranza, perfino rivendicata. Che San Marco protegga porto, laguna e città», invoca Gianfranco Bettin, Verdi Progressisti. Si sono presi non tutto, ma quasi. La nomina del presidente dell’Autorità della laguna Roberto Rossetto è ascrivibile alla Lega, anche se l’urbanista ha un pezzo di storia politica a sinistra. «Salvini l’ha nominato ma poi l’ha lasciato solo», mandano la zeppata dal Pd.
E infatti è toccato ad un emendamento di Fratelli d’Italia pochi giorni fa, creare le condizioni per la società in house di gestione del Mose: la fa il Consorzio Venezia Nuova e poi l’Autorità acquista le quote. Nelle stesse ore, i Fratelli battagliavano al Comune sulla gestione di stadio e palazzetto dello sport, minacciando di non votare la delibera che apriva la strada a 40 anni di concessione alla Reyer e al Venezia Calcio. Il risultato più eclatante è stato togliere le insegne orogranata e arancioneroverdi da curve e tribune: «Così non passa l’idea che i privati si appropriano di impianti costruiti con soldi pubblici», ribadisce Raschillà. Uno dei privati è la Reyer, il cui patron è Brugnaro. Fratelli d’Italia ha appoggiato l’intera operazione del Bosco dello Sport, costruito con soldi pubblici. Ma ha messo uno stop, anche al momento di votare sulla mozione (Lega e fucsia) per iniziare un percorso per dare un nome a stadio e palazzetto. Nelle chat, i tifosi si sono imbufaliti e gli improperi non si contano. La spiegazione dei Fratelli in camera caritatis: «Non vorremmo trovarci con un’arena Stefania e uno stadio Brugnaro». In forma ufficiale: «Deciderà la prossima amministrazione».
Che chissà quante preferenze avrà per Fdi, perché quello è il punto: le prossime elezioni in città del 2026. Le nomine ministeriali, il soccorso a Rossetto e l’intemerata su stadio e palazzetto con 20 emendamenti (quasi tutti recepiti) creano quel milieu politico di presa di distanza da Brugnaro, sindaco che nella prima legislatura Fdi non aveva appoggiato e che nella seconda si trova ad affrontare l’accusa di corruzione per l’indagine Palude.
Venturini e Speranzon
La lealtà non viene meno ma smarcarsi non è vietato. L’attivismo di Fdi marginalizza anche la posizione di Simone Venturini. «Questo è il nostro candidato», lo aveva presentato Brugnaro a Ignazio La Russa in occasione del Salone nautico. L’approdo naturale sarebbe stato Forza Italia ma Venturini e Gianluca Forcolin proprio non si prendono. Le possibilità che il delfino passi tra i meloniani paiono calare. «Al momento la percentuale di probabilità parte dal numero zero. Volendo, si può aggiungere qualche decimale», dicono da Fdi. Come dire: il candidato naturale è Speranzon.
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14 luglio 2025
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