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Flotilla, la portavoce italiana: «Vado a Roma per il confronto. Bisogna fare di più per Gaza, non solo chiederci di fermarci»

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ROMA – Quando le telefoniamo Maria Elena Delia, la portavoce della delegazione italiana di Global Movement to Gaza, è appena scesa a terra, lasciando a malincuore le barche della Global Sumud Flotilla che sono in procinto di proseguire per la Striscia di Gaza: «Il direttivo ha deciso di mandarmi a Roma per portare avanti di persona il dialogo con le istituzioni» ci dice. 

Per lei deve essere stato un sacrificio. 
«Sicuramente sì, sono in questo progetto dall’inizio ma il nostro è un lavoro collettivo. Ognuno di noi deve essere al posto giusto al momento giusto. La parte più visibile del movimento è sulle barche ma ora dobbiamo evitare che qualcuno si faccia male, questa è una fase delicata, si sta rischiando moltissimo, a Creta eravamo lontanissimi da Gaza e ci hanno attaccato».

Perché avete detto no all’appello del presidente Mattarella? 
«Abbiamo apprezzato le parole del capo dello Stato e ne abbiamo colto l’emotività. Ma ci è sembrato che accettare spostasse l’attenzione dal punto centrale. Noi siamo dispostissimi a trovare un corridoio umanitario, che vorremmo fosse permanente, però questo non può essere un’alternativa a poter percorrere liberamente delle acque internazionali. Stiamo cercando di mettere in evidenza una stortura». 

Vi accusano di protagonismo, di voler creare un incidente diplomatico. «Non c’è nessuna volontà di andare a farsi male per forza. Noi chiediamo ai governi: è possibile dire ad Israele guardate che se attaccherete quelle barche in acque internazionali noi vi daremo delle sanzioni? Possiamo ragionare sulla possibilità che l’Italia metta un embargo sulle armi o rinunci ad alcuni accordi commerciali. Non c’è una chiusura cieca. Siamo assolutamente aperti a delle trattative concrete». 

Per esempio? 
«Israele potrebbe garantire che una volta al mese si apra un corridoio navale affinché le navi dell’Onu, non quelle della Flotilla, possano portare via mare degli aiuti. Ci sono tante possibilità ma bisogna fare qualcosa in più rispetto a chiedere a noi di non andare a Gaza». Cosa chiedete al governo? «Vorremo che ci ascoltassero un po’ di più, magari così capirebbero che non siamo dei provocatori ma stiamo cercando di un puntare un faro sul genocidio che è in atto da due anni a questa parte. Noi nasciamo da questo». 

Tutto parte dal 7 ottobre 2023, quando Hamas ha ucciso 1.200 israeliani e ne ha presi 250 in ostaggio. 
«Sicuramente, però, due anni di sterminio mi sembrano una reazione esagerata. Dopodiché nessuno vuole la morte di nessuno ma è un fatto che il 7 ottobre si colloca in una storia di quasi 80 anni di occupazione. Non lo sto giustificando, per carità, sto dicendo che in quella terra la situazione è la più complicata del mondo». 

Israele sostiene che la Flotilla è finanziata da Hamas anche se molti di voi non ne sono consapevoli. 

«Siamo al di sopra di ogni sospetto, i nostri finanziamenti sono tutti arrivati attraverso raccolte di fondi tracciate». 

Ma lei è d’accordo con la soluzione due popoli due Stati? 
«Non posso parlare a nome di tutto il movimento perché ci sono sensibilità diverse. Personalmente non sono d’accordo perché ritengo che nella pratica non funzionerebbe. Bisognerebbe che ci fosse un unico Stato dove tutti i cittadini possano vivere con uguali diritti e doveri».

27 settembre 2025 ( modifica il 27 settembre 2025 | 09:54)

27 settembre 2025 ( modifica il 27 settembre 2025 | 09:54)

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