
Forse non è davvero mai troppo tardi per riconoscere i meriti, le qualità o addirittura la genialità di una persona. Così Flaminio Bertoni, il grande stilista varesino che, trasferitosi a Parigi, ha realizzato le auto più iconiche (noi ci permettiamo di aggiungere: pure le più belle) della Citroën, è entrato nella Hall of Fame della Fiva, che sta per Fédération Internationale des Véhicules Anciens. È l’associazione che si occupa della conservazione dei veicoli storici e della promozione del loro uso sicuro.
La candidatura di Bertoni era stata sostenuta dall’Asi, la cerimonia è avvenuta a Bologna: a ritirare il riconoscimento, denominato Heritage Hall of Fame 2025, c’erano il nipote Moreno e i rappresentanti dell’Associazione Flaminio Bertoni, che si occupa prima di tutto della memoria storica del designer nel padiglione a lui dedicato al Parco-Museo di Volandia, a ridosso del Terminal 1 di Malpensa.
Flaminio Bertoni, classe 1903, nato nella castellanza varesina di Masnago, aveva cominciato alla carrozzeria Macchi come apprendista. Alcuni tecnici francesi in visita notarono il suo talento (era anche scultore, allievo del grande Angelo Frattini) e lo invitarono a trasferirsi in Francia. Il giovane Bertoni parlava malissimo il francese, ma aveva un asso nella manica: il brevetto per il sollevamento pneumatico dei finestrini. Andò a proporlo direttamente ad André Citroën e fu assunto immediatamente. Restare a Parigi fu una scelta di vita che lo segnò anche sul piano personale: in Italia sarebbero rimasti la moglie e il primo figlio, Leonardo, mentre in Francia si sarebbe risposato avendo un secondo erede, Serge, mancato purtroppo prematuramente.
Bertoni all’interno della Citroën diede le forme alla Traction Avant (il mock up in scala, in plastilina, fu realizzato in una notte e la foto di lui che dà gli ultimi ritocchi al modellino è diventata di culto) alla 2CV, alla Ami e soprattutto alla DS, la macchina “senza tempo” che spopolò quando fu presentata, 80 anni fa al Salone dell’Automobile (12 mila esemplari venduti in un giorno, 749 nei primi 45 miniuti), e che è stata un insuperato connubio tra arte e automobilismo. Esposta alla Triennale e da tempo in modo permanente al MoMa di New York, incantò tanti artisti, primo fra tutti Lucio Fontana che la definì “uno splendido mostro, icona del design”.
Flaminio Bertoni morì nel 1964, colpito da un ictus. Per ironia della sorte, l’ambulanza che lo condusse all’ospedale era una DS. Tanto fu geniale e creativo, tanto la sua opera rimase oscura per parecchi anni. E questo perché la Citroën, per policy aziendale, non voleva che venisse messo in risalto il singolo, ma il lavoro di un’équipe. Così del genio di Bertoni si seppe solo anni dopo e questo aspetto coinvolge addirittura Leonardo, il figlio di primo letto che di tanto in tanto andava dal padre a Parigi ma che mai ebbe la possibilità di vedere l’atelier nel quale lavorava. Fu la matrigna, diventata vedova e finita in miseria, a spiegargli tutto di suo padre, quale riconoscenza per il fatto che, su proposta di un giudice, Leonardo aveva accettato di farsene carico. Non è raro vedere grandi maestri che restano nell’oscurità. Quello di Flaminio Bertoni è stato uno dei casi più clamorosi e sconcertanti. Ed è per questo che saperlo adesso nella Hall of Fame rincuora: anche se molto tardi, c’è chi gli ha concesso un giusto riconoscimento, cementando pure a livello formale la sua memoria nei tempi che verranno.
28 ottobre 2025 (modifica il 28 ottobre 2025 | 16:50)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
28 ottobre 2025 (modifica il 28 ottobre 2025 | 16:50)
© RIPRODUZIONE RISERVATA




