Home / Cultura / Festivaletteratura, Roberto Saviano: «Credo nella bontà, troppe volte la giustizia delude»

Festivaletteratura, Roberto Saviano: «Credo nella bontà, troppe volte la giustizia delude»

//?#

Tutti in piedi, un lunghissimo applauso (7 minuti) cronometrato come alla prima della Scala o alla Mostra del cinema, ha chiuso ieri in piazza Castello l’incontro tra Omar El Akkad, Gad Lerner, Paola Caridi. L’emergenza Gaza è nelle parole dure e nello sguardo malinconico del giornalista nato in Egitto, che da anni vive in Oregon, autore di
Un giorno tutti diranno di essere stati contro
(Gramma Feltrinelli): «A Portland c’è un piccolo festival e sono in un gruppo che sta cercando di convincere l’organizzazione a sospendere la sponsorizzazione di una banca che finanzia armi, anche a Israele. C’è un dibattito interno, tra noi: dobbiamo boicottarlo o sarebbe meglio usarlo come piattaforma per parlare di quello che sta accadendo? Non lo sappiamo, perché soltanto una società sociopatica può metterti nella condizione di decidere che atteggiamento avere di fronte a un genocidio. Le mie emozioni sono impotenza assoluta e complicità perché sono anche le mie tasse che finanziano le armi».

Si specchia nelle sue parole Gad Lerner, autore del saggio
Gaza
(Feltrinelli) che pure trova improprio usare la parola genocidio: «Dopo Gaza io sono più ebreo di prima, le cose che stanno accadendo me lo hanno ancor più ricordato anche se non ce n’era bisogno. Vivo i comportamenti criminali di Israele come una ferita al mio ebraismo, mi suscitano anche interrogativi brutti riguardo a quale possa essere il destino di Israele. Mi chiedo: ci sarà a celebrare il suo centenario nel 2048? Se mai si realizzasse quello che voi chiamate genocidio e che possiamo chiamare in altro modo — massacro, carneficina —, se Israele vincesse, lo farebbe sul cadavere dell’ebraismo, per come l’ho vissuto io». E se per Lerner chi parla di genocidio ha vinto la guerra delle parole, dal momento che sono sempre di più quelli disposti a usarla, «il senso di impotenza può addirittura peggiorare se le cose non cambiano. Anche se una breccia si è aperta dobbiamo chiederci se non esista una cattiva coscienza europea, se non siamo in molti a pensare la cosa aberrante che ha detto il cancelliere tedesco Merz, che Israele sta facendo il lavoro sporco anche per noi».

La crisi di Gaza è un tracciato che attraversa tutte le giornate della rassegna, molto attenta ai temi civili. Ieri si è parlato anche di boss, di mafia, di amore in un altro evento affollatissimo, l’incontro tra Roberto Saviano, con il suo romanzo L’amore mio non muore (Einaudi Stile libero) e Teresa Ciabatti con
Donnaregina
(Mondadori) che racconta il tramonto (e il tradimento narrativo) di un superboss. «Dopo Saviano tutto quello che si scrive sulla mafia è annacquato. Io sono entrata nella storia da abusiva, concentrandomi sui materiali di scarto» ha detto la scrittrice.

La ’ndrangheta, la mafia, la scelta d’amore di una ragazza condannata dalle cosche, suggeriscono a Elisabetta Bucciarelli che modera l’incontro una domanda a Saviano: «Sei buono?». Lo scrittore risponde con il protagonista di
Vita e destino
di
Vasilij Grossman, che vive l’orrore nazista e poi quello staliniano. «Ad un certo punto non ce la fa più — racconta Saviano —. Dice di non credere nella giustizia perché nel suo nome qualunque violenza viene giustificata, qualunque atto viene sottoposto a una sorta di clemenza momentanea. Lui dice di credere nella bontà. E cos’è la bontà? Qualcosa di cui posso servirmi subito, qualcuno che ti sta aiutando, una mano tesa, non una costante della tua esistenza. Io cerco, quando posso, di non fare cose crudeli in un mestiere infame fatto di gossip biechi, di dossier falsi dove può venire spontaneo essere crudeli. Ho informazioni su tutti, è il mio lavoro, so cose che potrebbero ricattare. Ma farlo mi avvelenerebbe. È bontà? Non so, forse è un atto di protezione: non diventare una monnezza come quelli che stai combattendo. Mi sforzo costantemente di non diventare come chi ho intorno a me, anche quelli che sembrano i giusti, gli inquisitori, i buoni, a cui spesso vengo sommato anche se non c’entro niente». La differenza per Saviano la fa il metodo e anche il bersaglio: «Io scelgo sempre di valutare con chi me la prendo, non voglio cedere alla sproporzione che renderebbe facile il bersaglio. Credo nella bontà come Grossman, perché troppe volte la giustizia ha deluso e la bontà è misurabile subito».

7 settembre 2025 (modifica il 7 settembre 2025 | 11:42)

7 settembre 2025 (modifica il 7 settembre 2025 | 11:42)

Fonte Originale