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Fellini e quei primi ciak a San Pellegrino per «Giulietta degli spiriti»

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Per Federico Fellini è stato il film delle prime volte. Il primo lungometraggio a colori e il primo girato, ardua impresa, dopo il capolavoro «8 ½». In pratica, per il maestro rappresenta un nuovo debutto. Primi ciak di «Giulietta degli spiriti» al Casinò di San Pellegrino Terme: «Ufficialmente, il 27 luglio del 1964», conferma Marco Leonetti, direttore del Fellini Museum di Rimini. La visionaria anatomia di un matrimonio, alla maniera dei coniugi Fellini-Masina (Giulietta, protagonista nel ruolo del titolo), usciva in sala nell’autunno del 1965. Oggi, sessant’anni dopo, l’opera è più moderna — e forse anche più bella — di ieri.

Direttore Leonetti, lungo questi sessant’anni, cosa ha lasciato «Giulietta degli spiriti»?
«Ancora oggi “Giulietta degli spiriti” ci dice come lo spettacolo dell’ornamento e della decorazione possa diventare un linguaggio, attraverso cui è possibile esprimere il mondo dell’inconscio. Ma, per una volta, non si tratta della cantina freudiana dove tutti nascondiamo i nostri sensi di colpa. Quello del film è un inconscio vivace, lussureggiante, vitale. La dimensione esoterica e magica, assente nel precedente “8 ½”, qui appare inedita. E coincide, forse, anche con l’elemento di maggiore fragilità dell’opera».
La location di San Pellegrino ha fuor di dubbio aiutato Fellini a definire l’immaginario estetico del suo film. La fotografia è di Gianni Di Venanzo, scene e costumi sono di Piero Gherardi.
«Proprio così. Nell’architettura del Casinò di San Pellegrino si ritrova molto dello stile di Fellini. Il barocco unito al liberty. La sequenza lì ambientata è un esempio di come il regista riesca a tenerli insieme. Ovvio, mirabilmente».
Si tratta di una scena cruciale, quella dell’incontro di Giulietta con la veggente.
«La sequenza è fantastica. Giulietta e l’amica Valentina (Cortese, ndr) si ritrovano al cospetto del guru Bishma, che comunica attraverso enigmi. Non è ben chiaro se si tratti di un uomo o di una donna. Appare come un’anziana signora (interpretata dall’artista tedesca Valeska Gert, ndr), la cui voce è doppiata dal grande imitatore Alighiero Noschese. La scena ambientata al Casinò comincia al buio, poi le luci si accendono e appare lo scalone. È bellissimo osservare come la macchina da presa di Fellini scivoli su quei colonnati».
San Pellegrino torna in un altro momento. Si tratta, stavolta, di una scena girata in esterna.
«Una delle ultime del film, quella del party. Il giardino della casa dei coniugi è in realtà uno scorcio del parco del Casinò. Inoltre, l’autografo di Federico Fellini è posto sul libro delle firme del Grand Hotel di San Pellegrino, dove alloggiava. Insieme al nome del regista, c’è una data: il 22 maggio 1964. Un paio di mesi prima dell’inizio delle riprese, Fellini era già in Bergamasca. Probabilmente a fare sopralluoghi».
Aneddoti, costumi, documenti d’archivio, memorabilia, scenografie, video. Si trova di tutto al Fellini Museum di Rimini, dislocato in tre spazi: Castel Sismondo, Palazzo del Fulgor e Piazza Malatesta. C’è un filo conduttore, alla base delle ricche collezioni del bellissimo museo che dirige?
«Il Museum espone i suoi visitatori al cinema di Federico Fellini in maniera diretta, senza usare alcuna crema protettiva. Non importa conoscerne la filmografia, già prima. Il bello è buttarsi. Per imparare a nuotare, conviene subito tuffarsi in acqua. Questa nostra è una difficile scommessa, per tramandare Fellini pure alle nuove generazioni».
Il regista Luca Guadagnino, in una recente intervista sul Corriere della Sera, confessa ad Aldo Cazzullo che «tranne in alcuni capolavori come La strada e Giulietta degli spiriti, rischiarati dalla presenza di Giulietta Masina» trova Fellini «noioso, prevedibile». Vuole rispondere?
«Non è scritto da nessuna parte che Fellini debba piacere a tutti. Non credo che “8 ½” dovesse durare un’ora meno (come ha detto Guadagnino a Cazzullo, ndr), ma non mi scandalizza se qualcuno lo pensa».

3 novembre 2025

3 novembre 2025

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