
La sua è stata una stagione incredibile. Ai primi di aprile ha conquistato il titolo di campione italiano di Ski Cross in un inverno che, agonisticamente parlando, definisce «discreto, anche se non sono mai riuscito a qualificarmi nei primi quattro in Coppa del Mondo. Mi è mancato davvero poco, ma il livello degli avversari è molto alto e basta il minimo errore per trovarsi fuori». Federico Tomasoni non ha mollato. Glielo ha insegnato il papà (Batti Tomasoni, noto istruttore nazionale di sci alpino) fin da quando, a due anni, lo aveva messo sugli sci. Lo sport insegna, anche nei momenti più brutti, a reagire, a guardare oltre l’ostacolo, a mettersi alla prova. E non parliamo di piste, paletti e gobbe che fanno da cornice all’adrenalinico skicorss, ma della vita. «È stato difficile, ma ho tenuto duro. C’è stato un momento in cui non volevo più sciare. Stavo malissimo, anche se mi accorgevo che, tenendo fede agli impegni, poi mi sentivo meglio. Con il passare del tempo si impara a gestire gli alti e i bassi e in questo su e giù, ho pensato alle Olimpiadi, alle qualifiche e al fatto che tutto il mio team ha chiaro questo obiettivo. Se non ci fosse questo traguardo in vista non so se ce l’avrei fatta».
Non è facile pensare alle gare, ai tuoi doveri di atleta quando hai il cuore spezzato in due. Quando il mondo ti è crollato addosso. Quando il 28 ottobre Matilde Lorenzi, giovane promessa dello sci azzurro, la fidanzata di Tomasoni, è morta sciando. Un semplice allenamento di gigante finito in tragedia. «A distanza di qualche tempo, oggi sono più tranquillo e riesco a parlarne, ma resterà per sempre una delle più spaventose paure che si possano provare. È stato uno choc, anche il solo pensiero che, dall’essere Matilde la donna della mia vita, con cui avrei voluto condividere ogni giorno della mia esistenza, da quel giorno sarebbe diventata solo un ricordo. Per i primi due mesi ho vissuto in piena confusione».
Come è arrivata la forza di guardare avanti?
«Anche grazie a una serie di coincidenze e di fatti a cui ho ripensato. Come dei segnali che si erano verificati proprio in quei giorni. È una cosa fortissima rivedere e ripensare a cose vissute insieme che poi, alla luce degli eventi, hanno assunto un altro significato. Eventi accaduti, quasi come premonitori del fatto che lei se ne dovesse andare».
Ad esempio?
«Il giorno prima dell’incidente era a Castione della Presolana, a casa mia, dove si era fermata per tre giorni, mentre io mi stavo allenando altrove. Da un mese e mezzo mi stava preparando un cappellino all’uncinetto e il giorno prima della partenza in val Senales me lo ha dato. Dall’estate dormiva con una maglietta del Monte Pora addosso, ma quel giorno me l’ha ridata, così come mi ha ripiegato e ridato un pile che le piaceva tantissimo e che usava tutti i giorni. E poi, accompagnandola in quell’ultimo tragitto fino a Bergamo, dove l’aspettava il pullmino della squadra, aveva un po’ pianto raccontandomi le sue sensazioni. “Mi hai cambiato la vita e non posso perderti” mi aveva detto tra le lacrime».
Parole importanti per un sentimento che era appena sbocciato.
«Ci eravamo conosciuti lo scorso mese di maggio ad un corso dell’Esercito (il gruppo sportivo in cui Federico milita, ndr) e stavamo insieme da sei mesi, i più intensi mai vissuti prima. In quel tempo non ho mai trovato in lei qualcosa che non mi andasse a genio. Una relazione perfetta, ci completavamo a vicenda in un modo tale che non credo potrà mai più capitarmi. Un legame fortissimo».
Fino a quel maledetto giorno.
«Matilde mi aveva mandato un messaggio la mattina presto, mentre la sera prima con un altro messaggio mi aveva scritto “ti amo da morire”. Sono andato a rileggermi tutta la chat ed era una cosa che non mi aveva mai inviato prima. Le ho risposto “grazie di tutto”. Si scrive così, ringraziando, quando si è alla fine di qualcosa. E insieme al buongiorno, sempre quella mattina mi aveva anche inviato le foto della pista su cui è poi caduta».
Come le è arrivata la notizia dell’incidente?
«Non sapevo ancora nulla, quando un allenatore della sua squadra mi ha scritto il messaggio: “Fammi sapere come sta Matilde”. Poi mi ha chiamato sua sorella Lucrezia e a quel punto ho pensato subito al peggio. Nel mondo dello sci, se dopo un paio d’ore da un infortunio non ti arrivano notizie, è un bruttissimo segno. Speravo di salvarla, ma avevo già capito tutto. Stavamo troppo bene, ci vedevamo insieme per tanti anni ancora. Dopo un mese di allenamenti in Argentina, avevamo deciso di passare qualche giorno al caldo e, dieci giorni prima dell’incidente, eravamo stati ad Ibiza. L’ultimo giorno prima di partire mi mostra un tatuaggio con il sole e mi dice: “Guarda, mi sono tatuata te addosso, sei tu il mio sole”. È diventato il simbolo della Fondazione, chissà se un giorno me lo tatuerò anche io, magari se torno ad Ibiza».
Da questo dolore immenso, è nata, in nome di Matilde, la Fondazione che promuove in più ambiti la sicurezza nello sci.
«Nella Fondazione non sono ancora riuscito a metterci la testa. E questo perché faccio ancora tanta fatica ad accettare che il nome di Matilde sia associato a un ente e non a lei. La sua famiglia ci si sta dedicando completamente, è un modo per tenere in vita Matilde e perché anche i suoi famigliari possano sentirsi vivi. Quando è morto Marco Degli Uomini (una promessa degli sci, precipitato per 70 metri su una pista dello Zoncolan nel marzo scorso ndr) mi ha chiamato la mamma di Matilde che sentiva di non aver fatto abbastanza con la Fondazione. Anche se in questo caso il tema sicurezza c’entra poco, perché l’incidente è avvenuto nel riscaldamento di un allenamento di SuperG su una pista normale, mentre Matilde è morta in condizioni diverse, fuori dalla pista. Non intendo entrare nel merito di altri aspetti, ma di una cosa sono sicuro. Tutti hanno scritto che lei fosse caduta picchiando la faccia e, invece, è caduta fuori pista. L’ho baciata fino all’ultimo istante in cui è stato possibile farlo e il suo volto era perfetto, intatto. La testa non aveva nulla».
In un post su Instagram si vedevano le vostre mani, intrecciate in ospedale, con un messaggio bellissimo. “Ti amo stellina, la cosa più bella che la vita mi potesse regalare”.
«Ecco, ad esempio, un’altra coincidenza. In quella foto si vede la manicure perfetta di Matilde e proprio un giorno in cui mi sentivo un po’ giù l’ho rivista identica, con due stelline su un’unghia, sulle mani della receptionist di un hotel. La sento ancora vicina, la ritrovo in certe canzoni o in eventi che mi capitano e mi dicono che lei c’è ancora, è qui accanto a me. Nel primo mese l’ho sognata tutte le notti, in sogno mi diceva delle cose incredibili».
In che cosa ha trovato conforto? Nella fede?
«Dal giorno in cui Matilde è morta, questo aspetto della mia vita si è spento. Non ho più fatto il segno della croce. Non mi è ancora passata anche se credo che ci sia qualcosa di soprannaturale. Chi mi vede pensa che non ci sia la possibilità di andare avanti, ma io ci provo in tutti i modi. Il mio psicologo di fiducia sono le mie montagne, stare a contatto con loro, a rasserenarmi un poco sono i fuori pista a Colere dove quest’inverno scappavo non appena possibile. E poi devo dire grazie a Matteo Nana. Anche lui, dopo cinque anni di fidanzamento aveva perso la sua fidanzata in un’immersione nel Lago di Como».
Che cosa le ha detto?
«La sua fidanzata è morta quando lui aveva 26 anni, un anno in meno di me. Mi ha detto che è passato ancora poco tempo, ma che la presenza di chi non c’è più si farà sentire. “Le emozioni che hai vissuto con lei le rivivrai tutta la vita, ci ripenserai spesso e ti accorgerai che la vita andrà avanti e tu tornerai a sorridere con lei nel cuore”. Sono state queste le sue parole. Per questo glielo voglio dire: grazie, Matteo, sei una persona incredibile».
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20 aprile 2025 ( modifica il 20 aprile 2025 | 06:53)
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