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Fausto Rossi ex Juventus che fine ha fatto: «Il sogno, il tumore dei miei genitori, le sfuriate di Conte, quel gol al Barcellona»

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Fausto Rossi, siamo nella sua Torino. Cosa rappresenta per lei questa città?
«Tanto. Sono nato e cresciuto in un quartiere popolare. La famiglia e il calcio mi hanno tenuto lontano dai pericoli. Amici hanno preso strade sbagliate. Qui ho tirato i primi calci a pallone. Quante volte è finito sulle rotaie dei tram. Ed è anche la città della mia Juventus».

Lei ha passato una vita in bianconero.
«Il primo ricordo che ho è di me da piccolo che indosso una maglia della Juve con il numero 10. Era nel mio destino. A 5 anni un osservatore mi ha visto giocare sotto casa e mi ha chiamato per un provino. Per fortuna mi hanno preso subito».

Fausto Rossi, centrocampista classe 1990 ora svincolato dopo l’esperienza al Vicenza, parla dalla sua Torino. Juventino dalla nascita, ha fatto tutta la trafila nel settore giovanile bianconero. Anche grazie a un Trofeo Tim da protagonista, nel 2008, era ritenuto uno dei talenti più promettenti del calcio italiano. 

©Jonathan Moscrop - LaPresse 29 07 2008 Torino ( Italia ) Sport Calcio Juventus v Inter - 8¡ Trofeo TIM - Stadio Olimpico Nella foto: Fausto Rossi, Javier Zanetti e Maicon ©Jonathan Moscrop - LaPresse 29 07 2008 Turin ( Italy ) Sport Calcio Juventus versus FC Inter - 8th TIM Trophy - Olympic Stadium In the photo: Juventus's Fausto Rossi takes on Inter's Javier Zanetti and Maicon

La carriera, però, non ha seguito le aspettative: «Forse sono capitato alla Juve nel periodo sbagliato». In Spagna lo ricordano per un gol al Barcellona, anni dopo ha pensato di smettere per un grave infortunio e, soprattutto, i tumori diagnosticati ai genitori: «Si sono ammalati a distanza di pochi mesi nel 2013, ero un ragazzo. Quando c’è stata la ricaduta della malattia volevo lasciare il calcio. Sono morti anni dopo, li porto con me».

Com’è stato il suo percorso alla Juve?
«Una fortuna poter crescere in un club così. Una scuola di vita. Ho avuto qualche difficoltà nel primo anno di Allievi. Giocavo poco, avevo la sensazione che mi avrebbero mandato via. Un allenamento ha cambiato la mia carriera».

Ci racconti.
«Non ero stato convocato per un torneo in Francia. Mi avevano mandato ad allenarmi con i più grandi. Ero piaciuto molto al loro allenatore Storgato. Aveva deciso di tenermi per la stagione successiva. Ma a quell’allenamento sono legate tante altre cose».

Quali?
«Era una domenica, lo ricordo bene. È stata l’unica volta che mio padre mi ha accompagnato a un allenamento. Di solito lavorava. Il viaggio in totale silenzio, lui era del ’38, un uomo di altri tempi. Era strano vederlo fuori dalla rete a guardarmi. Ora su quel campo si allenano le giovanili del Torino, la squadra del cuore di papà».

Le capita di passare da quel campo?
«Spesso quando sono a Torino. Mi viene in mente tutto. Quell’allenamento, la mia carriera, i miei genitori».

Sono stati importanti per lei?
«Fondamentali. L’uomo che sono ora lo devo a loro. Mi hanno lasciato libero di esprimermi, senza il peso del dover diventare un calciatore».

Con loro ha condiviso anche il periodo della malattia.
«Era il 2013 quando mamma si è ammalata: un tumore al seno. Qualche mese dopo hanno diagnosticato a papà un tumore al colon e allo stomaco. Avevo 22 anni. Sono dovuto crescere in fretta, non avevo alternative. Ogni domenica dopo le partite andavo a trovarli negli ospedali dove erano ricoverati».

Poi c’è stata la ricaduta.
«Nel 2018 il tumore di mamma si è ripresentato in forma più aggressiva. Ha dovuto riaffrontare lo stesso percorso per la seconda volta. Aveva perso il seno, i capelli e la sensibilità delle dita e aveva 155 punti sul petto. È stato difficile. Per loro, per chi stava al loro fianco. Poco dopo papà ha avuto un’ischemia cerebrale e si è ritrovato in sedia a rotelle. In quel periodo giocavo in Romania. Rientravo da un grave infortunio, mi ero rotto i tendini del retto femorale. Il presidente mi aveva messo nella seconda squadra perché convinto che non sarei più tornato quello di prima. Ho deciso di risolvere il contratto e tornare in Italia».

Ha pensato di smettere?
«Sì. Dovevo prendermi cura dei miei genitori. Ma parlando con loro, con la mia famiglia e il mio agente ho deciso di continuare. La Juve mi ha permesso di allenarmi con l’U23. Portavo mamma a fare la chemio, andavo al campo, tornavo a prenderla per portarla a casa. Nel frattempo, seguivo papà. In un anno e mezzo ho perso entrambi».

Fausto Rossi: «Volevo lasciare il calcio per i tumori dei miei genitori, la Juventus una scuola di vita»

Ha delle immagini particolari che si porta dentro?
«Ricordo lo scontro con mio padre in ospedale dopo la prima operazione. Mi aveva promesso che si sarebbe ripreso, ma non reagiva. “Se non ti impegni a cambiare non torno più”. Con quella frase l’avevo toccato nell’orgoglio e piano piano era migliorato. Di mamma invece ricordo il suo sogno che sono riuscito a realizzare prima della sua morte: comprare una villa per la mia famiglia».

Come ha fatto un ragazzo così giovane a restare in piedi?
«Non avevo altra scelta. E non volevo piangermi addosso. Porto con me un insegnamento di Silvio Baldini: “Ci sarà sempre qualcuno che ha una croce più grossa della tua”. È la verità. Con il calcio non ho smesso. Ho continuato a testa alta, come in tutto il periodo della malattia di mamma e papà. Ogni tanto mi ritrovo da solo a ripensare a tutto questo. A volte piango, mi sfogo. Ci chiacchiero, mi viene ancora da alzare il telefono per chiamarli. Lo facevo sempre da quando avevo lasciato casa, tutte le sere».

Tornando al calcio, come ha vissuto l’addio alla Juve?
«In modo sereno. Ognuno ha quello che si merita. Probabilmente non ero all’altezza di quel palcoscenico. Mi spiace solo non aver esordito in prima squadra».

Ha comunque giocato il Trofeo Tim.
«Un’esperienza bellissima. Dopo quelle partite si sono accesi i riflettori su di me. Mi vedevano come la nuova promessa del calcio italiano. È andata diversamente. Ma ho avuto la fortuna di incontrare grandi campioni».

Ha qualche aneddoto particolare?
«L’aura e l’umiltà di Del Piero. A volte mi chiamava a provare le punizioni con lui. Ma io mi vergognavo a calciarle davanti a un fuoriclasse del genere. Oppure la sfuriata di Conte dopo un pareggio durante una tournée estiva contro l’Inter. Voleva vincere lo scudetto, non accettava risultati diversi dalla vittoria».

Poi è andato in Spagna.
«Era un mio sogno giocare in Liga. A Valladolid ho vissuto momenti belli».

Se le dico 8 marzo 2014 a cosa pensa?
«Un’emozione indescrivibile. Vincere contro il Barcellona con un mio gol… incredibile. Però ci sono due cose che non rifarei».

A cosa si riferisce?
«Il rispondere a Xavi nel post-partita, si era lamentato dell’altezza dell’erba del nostro campo. E poi non dovevo accettare l’invito del Real Madrid per ringraziarmi per aver fermato il Barcellona. Dopo la partita mi era arrivato un messaggio di Bronzetti. Era difficile dire di no».

Ora dopo Reggio Emilia e Vicenza cosa vuole fare?
«Continuare a divertirmi e sentirmi importante. E ora sono io ad accompagnare i miei bambini insieme a mia moglie agli allenamenti. È speciale essere padre».

Un po’ come quella domenica con suo papà.
«Già, a loro voglio trasmettere i valori che mi hanno insegnato lui e mamma: rispetto, senso del lavoro e umiltà».

Fausto Rossi: «Volevo lasciare il calcio per i tumori dei miei genitori, la Juventus una scuola di vita»

8 agosto 2025

8 agosto 2025

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