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Fabio Capello: «Baresi si ruppe il ginocchio e un mese dopo giocò la finale mondiale, uno così non può avere paura di nulla»

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«Siamo tutti con te, capitano». Fabio Capello, che di Baresi è stato prima compagno di squadra (1978-80) e poi allenatore (1991-96 e 1997-98), oggi opinionista di Sky, non ha dubbi: «Lo conosco da quando era poco più di un bambino e sono sicuro che affronterà questa sfida con lo stesso coraggio che aveva in campo. Da vero capitano».

C’è solo un capitano, cantano ancora oggi i tifosi rossoneri.
«Franco non è solo un simbolo, è una bandiera. Forse una delle ultime, se non l’ultima in assoluto. Tutta la carriera nella stessa squadra, incarnando ancora oggi i valori della società. Con la stessa passione di sempre. Quando giocava da libero come ora che è vicepresidente onorario. Baresi è irripetibile».

Quando vi siete conosciuti?
«Nel 1978, eravamo compagni di squadra. Io ero a fine carriera, lui un debuttante. Per tutti infatti era il Piscinin, il Piccolino, ma aveva già un talento infinito, evidente. Personalità, tecnica, applicazione: era chiaro che sarebbe arrivato lontanissimo. Il primo a intuire le sue qualità fu Nils Liedholm, che lo fece debuttare a 17 anni. Ha fatto una carriera immensa. Ma avrebbe meritato anche di più».

Sei scudetti, tre Champions, due Intercontinentali: mica male però come bacheca…
«Sì, ma Franco meritava anche il Pallone d’oro. Come Paolo Maldini. Non l’ha mai vinto, nonostante sia stato uno dei più grandi difensori, se non il più grande in assoluto, della storia della calcio».

Ora, questa sfida fuori dal campo.
«Uno che ha giocato una finale del Mondiale un mese dopo essersi rotto il ginocchio, non può avere paura di nulla. Per questo dico che sono sicuro che Franco affronterà questa battaglia con la stessa tenacia, la stessa forza mentale che aveva quando giocava e vinceva».

Le lacrime dopo il rigore sbagliato in quella finale, a Pasadena contro il Brasile nel 1994, fanno parte della storia del calcio.
«Anche perché furono per tutti una lezione di vita, anche oltre il calcio. La dimostrazione che tutti, prima o poi, possiamo perdere una partita. La sconfitta fa parte della vita. E non c’è da vergognarsi a piangere, a mostrare le emozioni, se si ha dato tutto. L’unica cosa che conta è rialzarsi in piedi e riprovare. La vita è questo: non arrendersi mai, anche di fronte ad avversari che ci sembrano difficilissimi da superare. Per questo dico: capitano, siamo tutti con te».

4 agosto 2025

4 agosto 2025

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