
Ex Ilva: da problema industriale a questione di ordine pubblico. Mercoledì 19 novembre Fim, Fiom e Uilm hanno dichiarato una protesta a oltranza. I lavoratori dello stabilimento di Genova-Cornigliano hanno dormito in tenda, in strada. I sindacati contestano il nuovo piano che è stato presentato dal governo nei giorni scorsi. Piano che prevedeva il passaggio da 4.450 a 6.000 tute blu in cassa integrazione. Non è bastata la marcia indietro del Mimit, disponibile a sostituire la cassa con un periodo di formazione per i 1.550 lavoratori aggiuntivi: Fim, Fiom e Uilm hanno spiegato che il punto non è «cassa o formazione», ma il fatto che entrambi gli strumenti servirebbero per «spegnere» gli stabilimenti del gruppo. Detto in altre parole: i sindacati vedono il nuovo piano di decarbonizzazione in quattro anni invece che in otto come la parola fine sulle attività di Acciaierie d’Italia come la conosciamo oggi.
Le proteste a Genova
Il 19 novembre, i lavoratori dell’ex Ilva di Cornigliano sono scesi in piazza dalla mattina «per difendere la fabbrica e la produzione». Al presidio sono arrivati prima il presidente della Regione, Marco Bucci, poi la sindaca di Genova, Silvia Salis, in serata. Situazione più tranquilla a Taranto, per ora. È stata però convocata per oggi alle 7 del mattino l’assemblea unitaria dei lavoratori, indetta da Fim, Fiom e Uilm e Usb, per valutare eventuali forme di mobilitazione. I sindacati dei metalmeccanici chiedono l’intervento della premier Giorgia Meloni e criticano l’operato del ministro delle Imprese. «Urso ricorda la regina Maria Antonietta la quale, a chi le diceva “il popolo ha fame perché non ha pane” rispose “che mangino brioche”. Noi chiediamo al ministro Urso di tornare a lavorare e lui risponde “diamogli la formazione”», dice il segretario generale della Fiom, Michele De Palma.
Le offerte in campo
Al momento le offerte in campo sono due: quelle dei fondi Bedrock Industries e della cordata Flacks Group- Steel Business Europe. Il Mimit ha detto al tavolo della trattativa che ci sarebbero altri interessamenti. Entrambi stranieri, il primo pronto a presentare una manifestazione di interesse strutturata mentre il secondo avrebbe chiesto l’accesso alla data room. Si fanno i nomi di Qatar steel e del produttore degli Emirati arabi Emsteel. Oltre a tutto ciò sempre più insistenti le voci di pressing sul gruppo Arvedi.
I sindacati sono convinti che l’ex Ilva in queste condizioni non possa interessare ad alcun privato e che sia necessario, come spiega il leader della Fim Ferdinando Uliano «un intervento delle società a partecipazione pubblica». In concreto: Eni ed Enel per fornire gas ed energia a prezzi competitivi e poi Leonardo, Invitalia, Fincantieri.
LaCig in scadenza
Per ora le certezze sono che il gruppo perde circa due milioni di euro al giorno e quest’anno produrrà meno di 2 milioni di tonnellate. L’unico altoforno in funzione è l’Afo4. «Abbiamo chiesto che cosa succederà a fine febbraio 2026, quando scadrà la cassa, nessuno ci ha dato risposta», lamenta segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. Fonti vicine al Mimit e ai commissari intanto spiegano che quello presentato ai sindacati non è un piano industriale (perché quello dovrà produrlo l’acquirente) ma un perimetro di base per il piano industriale stesso; e se il perimetro è al ribasso (tre forni elettrici e soltanto un impianti di preridotto) la colpa è tutta degli enti locali (guidati dal centro sinistra) coinvolti nella partita, cioè comune di Taranto e Regione Puglia.
20 novembre 2025 ( modifica il 20 novembre 2025 | 07:49)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
20 novembre 2025 ( modifica il 20 novembre 2025 | 07:49)
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