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Effetto Ghibli per le tasche di «ChatGpt»

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Se vi è capitato di vedere sui social media una foto rivisitata con lo stile tipico di celebri animazioni giapponesi — e se avete usato Internet nell’ultima settimana vi è capitato di sicuro — sappiate che l’unico ad averci guadagnato è Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, la società che ha sviluppato ChatGpt. Lunedì scorso ha gongolato per aver aggiunto un milione di utenti in un’ora; mentre poco più due anni fa, in occasione del lancio del chatbot di Intelligenza artificiale, al picco massimo di viralità, per arrivare a un milione erano stati necessari 5 giorni. Di sicuro questa volta ha contribuito il «giochino» delle foto modificate con il tratto dello Studio Ghibli: cosa c’è di meglio, per coinvolgere nuovi utenti, di un trend irrinunciabile, anche per politici e Vip? Forse niente.

È interessante riflettere sul fatto che, per centrare il suo obiettivo, il furbo zio Sam (Altman) si sia dovuto affidare a un’idea, un’intuizione, uno stile già esistente. Altre due considerazioni. La prima: l’operazione è rischiosa e opinabile per questioni di copyright e rispetto di arte e artisti (a meno che non ci sia un accordo di cui il mondo non è a conoscenza, ma è difficile viste le preoccupazioni espresse in passato dal fondatore dello Studio Hayao Miyazaki sull’AI). Altman lo sa, ma finché il dibattito sarà inchiodato alla sola eventuale possibilità da parte dei detentori dei diritti di negare l’addestramento ai modelli (e neanche in tutto il mondo: per esempio in Giappone, non a caso), a lui conviene spingere, far felici gli investitori e portarsi dalla sua gli utenti. Con operazioni del genere, infatti, si normalizza un certo tipo di attività e utilizzo di contenuti e opere di ingegno altrui. La seconda: l’AI generativa ha ancora bisogno di arte e creatività per essere (commercialmente) irrinunciabile. E questa è una buona notizia, guardando a un futuro di opportunità, innovazione e giusti equilibri fra le parti.

5 aprile 2025

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