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Edoardo Purgatori: «Sul set per papà e Anna Magnani»

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Tempo di cerchi che si chiudono per Edoardo Purgatori. Un ruolo, già di per sé molto delicato, in un film intimamente legato alla memoria del padre Andrea, scomparso nel 2023. Un appuntamento in teatro con un personaggio che, visto al cinema da ragazzo, lo spinse a scegliere la carriera d’attore. La tv all’insegna dell’impegno civile, sempre nel segno del padre.

Monica Guerritore le ha affidato la parte di Luca Magnani nel suo «Anna», che sarà in anteprima alla Festa di Roma. Che esperienza è stata?

«Per me ha valore enorme, il film è dedicato a mio papà perché lui accettò di collaborare alla prima stesura della sceneggiatura, incoraggiò Monica a girare quel film, fatto da lei era certo che avrebbe avuto un valore speciale. Dopo la sua morte, in occasione di un premio per lui, Monica venne a leggere il monologo finale de Il muro di gomma, lei mi disse che mi voleva nel film».

Conosceva Luca Magnani?

«Me lo ricordo nelle immagini con la madre Anna, con le stampelle per i problemi di salute (la poliomelite, che lo colpì bambino, ndr). Abbiamo girato una scena molto toccante: lei nel letto di morte, c’è Rossellini, che è Tommaso Ragno. Io arrivo in ospedale per un saluto finale tra noi molto commovente. Vi lascio immaginare l’emozione. Mi ha aiutato la grande sensibilità di Monica».

Come è come regista?

«Sa bene ciò che vuole, si capisce che questo film le è cresciuto dentro. Mi fa piacere esserne parte, è la terza volta che seguo l’esordio alla regia di un’attrice amica».

Le altre due?

«Pilar Fogliati per Romantica e Michela Giraud per Flaminia. Anche in quel caso l’asticella emotiva era altissima, il film era legato alla storia di sua sorella, che ha disturbi dello spettro autistico. Era una storia da raccontare e ci ha coinvolto tutti».

Porterà in teatro il personaggio di Heath Ledger in «Brokeback Mountain», una bella responsabilità.

«Saremo il 24 ottobre a Torino, poi in tournée, in dicembre a Milano. È la versione per palcoscenico del film di Ang Lee dal racconto di Anne Proux, la storia d’amore tra due cowboy nel Wyoming del 1963. Mi ricordo benissimo quando lo vidi, 20 anni fa. Mi dissi: vorrei fare l’attore per avere un ruolo così, un uomo che si porta dietro i traumi, mi colpì il dramma di un amore che non potrà mai essere vissuto fino in fondo. E ora mi trovo a interpretarlo. Con Filippo Contri nella parte che fu di Jake Gyllenhaal. La regia è di Gianluca Nicoletti che ha un percorso simile al mio, ha studiato alla School of Drama in Gran Bretagna. È un’operazione intelligente, un testo contemporaneo reso credibile anche nella versione italiana, non c’è nessun rischio di avere l’effetto Alberto Sordi… E c’è Malika Ayane che canta alcuni brani che evocano il West e ha anche un cameo nello spettacolo».
Che ruolo ha la musica?
«Speciale. Non è un musical. Le sue canzoni che interpreta Malika danno un’atmosfera unica, aiutano a far entrare il pubblico nell’atmosfera. Lei è l’anima dello spettacolo».

Una discreta gavetta alle spalle, da «Un medico in famiglia» in poi.

«Mi considero fortunato. E sento che tutto è servito, ogni incontro mi ha arricchito. Fondamentale è stato quello con Ferzan Ozpetek, ho smesso di fare il cameriere grazie a lui, quando mi chiamò per La Dea fortuna. Poi mi ha voluto in teatro per Mine vaganti, la serie Le fate ignoranti, Diamanti
».

«Con Marco Damilano, per Il cavallo e la torre, leggo testi, poesie e non solo, legate all’attualità o a riflessioni sul nostro presente: è un bello sparring partner culturale, credo sarebbe piaciuto a papà».

Che eredità sente di aver ricevuto da lui?

«L’impegno civile, certo. Mio padre che non si tirò mai indietro su Ustica, Emanuela Orlandi, quando tutti gli davano contro, è rimasto fedele a quello che riteneva giusto e ha continuato a sostenerlo. Ma la sua eredità la riconosciamo anche nel non prendersi mai troppo sul serio, nell’idea che puoi essere rigoroso e insieme ironico».

13 ottobre 2025

13 ottobre 2025

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