
È un’esperienza comune che dopo una notte in cui si è dormito poco e male si è più nervosi, scontrosi, meno predisposti a relazionarsi con gli altri. Un rilievo empirico che una ricerca pubblicata sull’International Journal of Clinical and Health Psychology esplora con metodo scientifico, giungendo alla conclusione che un sonno di cattiva qualità rende effettivamente le persone poco empatiche e meno capaci di uscire mentalmente dal proprio punto di vista per assumere quello di altre persone.
Al contrario, un sonno di buona qualità è un elemento di promozione di atteggiamenti empatici e favorevoli allo scambio interpersonale.
Il dato fa riflettere e dovrebbe indurre ciascuno a interessarsi alla qualità e quantità di sonno di chi gli sta accanto e di coloro con i quali si trova a dover interagire.
Due studi
La ricerca è stata realizzata attraverso due diversi studi: uno ha preso in esame le abitudini di sonno dei partecipanti per alcuni giorni e poi anche la qualità complessiva del loro sonno nel corso del mese passato; l’altro ha sperimentalmente indotto una notte di sonno continuamente interrotto in un gruppo di partecipanti mentre quelli di un altro gruppo erano lasciati al loro sonno regolare.
Così attraverso il primo studio si è scoperto che le persone con una qualità inferiore di sonno avevano in generale punteggi più bassi alle scale per l’empatia; e, attraverso il secondo studio, si è scoperto che le persone appartenenti al gruppo di sonno interrotto avevano punteggi più bassi alle scale per la rilevazione della sensibilità empatica e della tendenza a prendere decisioni di tipo pro-sociale.
Il ruolo del sonno Rem
«La letteratura scientifica riguardante i rapporti tra i vari stadi del sonno e la regolazione emotiva ci fornisce una chiave di lettura del meccanismo che sottostà all’effetto del sonno di cattiva qualità sull’empatia» dicono gli autori della ricerca, coordinati da Alex Gileles- Hillel della Faculty of Medicine della Hebrew University of Jerusalem, in Israele. «Infatti, è noto che il sonno Rem (Rapid Eye movement sleep, la fase di sonno caratterizzata da rapidi movimenti oculari) è stato associato ai processi di integrazione notturna delle esperienze emozionali del giorno precedente. Inoltre, è dimostrato che il sonno Rem serve a ricalibrare la sensibilità del cervello verso specifiche emozioni. Ad esempio, un sonnellino diurno, all’interno del quale si sviluppa una fase Rem, può annullare emozioni negative conseguenti a rabbia o paura e facilitare risposte emotive di stampo positivo».
Anche il sonno non-Rem influisce sull’umore
Al contrario, segnalano gli autori dello studio, «la soppressione selettiva notturna del sonno Rem aumenta le emozioni negative del giorno dopo, incrementando l’attività dell’amigdala a fronte di esperienze di esclusione sociale. Dati che mostrano chiaramente l’importanza del sonno Rem nel sistema di regolazione emozionale. Tuttavia, recenti studi sottolineano l’importanza anche delle fasi di sonno non-Rem, quello cosiddetto a onde lente, anch’esso capace di agire positivamente sulla regolazione dell’umore e sul comportamento pro-sociale. Quindi, una sufficiente quantità sia di sonno Rem sia di sonno non-Rem, ma anche la loro qualità, possono predire per il giorno dopo livelli più bassi di ansia, un tono dell’umore migliore e una maggiore tendenza al comportamento pro-sociale».
Contano quantità e qualità del sonno
Purtroppo, quantità e qualità del sonno tendono da molti anni verso un progressivo peggioramento, un elemento che potrebbe in parte contribuire a spiegare le crescenti difficoltà relazionali che molti riscontrano nella società contemporanea di stampo occidentale. Si calcola che tra il 15 e il 20 per cento della popolazione adulta soffra di insonnia, di un sonno frammentato o di quantità insufficiente. Alcune categorie di persone sono particolarmente esposte, come i genitori di bambini piccoli, gli anziani, i lavoratori che fanno turni durante la notte, persone che soffrono di apnee del sonno. Ma a chiunque può capitare di avere periodi di sonno di cattiva qualità o insufficiente, quando si attraversano periodi di vita particolarmente stressanti.
E quando le difficoltà di sonno diventano prolungate, possono emergere anche conseguenze per la salute fisica, con l’aumento di rischio cardiovascolare, depressione e decadimento cognitivo.
Diventare capaci di uscire dalla propria individualità
L’empatia si può definire come la capacità di comprendere e condividere pensieri e sentimenti di altre persone. Permette di avere un buon funzionamento sociale, fa uscire dalla propria individualità e autoreferenzialità ed è un precursore essenziale del comportamento pro-sociale. Può essere suddivisa in due forme: empatia come tratto di carattere ed empatia correlata a specifiche situazioni. La prima è una caratteristica stabile della personalità e riflette la tendenza generale a comprendere e rispondere alle emozioni e alle esperienze altrui. Può essere influenzata da fattori genetici e ambientali. La seconda, detta anche empatia di stato, si riferisce alle variazioni a cui può andare incontro nel tempo e può essere influenzata da cambiamenti dell’ambiente o dallo stato d’animo personale. Entrambe funzionano attraverso due vie: la capacità affettiva di preoccuparsi per altri in difficoltà, e quella cognitiva di assumere il punto di vista altrui.
Professioni mediche, come gestire meglio stress e fatica
Chi si avvia alla professione medica o di area sociale dovrebbe dedicare una parte delle sue attenzioni e delle risorse psicologiche a coltivare abilità empatiche. Uno studio su oltre 1.700 studenti di un’università medica statunitense, rimasta volutamente anonima, ha riscontrato come il tratto di personalità definito flessibilità cognitiva sia quello che più di altri facilita lo sviluppo di relazioni basate su un buon livello di empatia e che, nello stesso tempo, riduce il rischio di incorrere in condizioni di stress e stati di fatica.
«Interventi finalizzati ad aumentare la flessibilità cognitiva possono aiutare gli studenti di area medica e sociale a gestire meglio lo stress e la fatica e a mantenere buoni livelli di empatia» dicono gli autori della ricerca, pubblicata sulla rivista PloS One, coordinato da Agata Zdun-Ryzewska della Faculty of Health Sciences della Medical University of Gdansk, in Polonia.
12 luglio 2025
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