Dazi, politica oscillante, nuovo deficit: il dollaro si avvia a chiudere il peggior primo semestre dal 1973, ossia dal collasso del sistema di cambi valutari fissi degli accordi di Bretton Woods.
Secondo il Financial Times , da inizio anno il biglietto verde si è deprezzato di oltre il 10% rispetto al paniere dei sei altre monete «forti» che include la sterlina, lo yen e l’euro. Si tratta di una svalutazione significativa che è frutto di più fattori.
L’effetto dazi
Anzitutto, la guerra dei dazi e il continuo andirivieni tariffario della Casa Bianca hanno creato grande incertezza riguardo all’evoluzione dell’economia americana, dalla cui forza si alimenta il dollaro.
Nonostante la resistenza del presidente Jerome Powell, poi, il mercato è convinto che alla fine la Federal Reserve cederà all’insistenza di Donald Trump e finirà per tagliare più volte i tassi di interesse nel 2025, indebolendo il biglietto verde.
La corsa dell’euro
Quest’anno, così, l’euro ha guadagnato oltre il 13%, arrivando ieri a valere oltre 1,17 dollari. E dire che, all’indomani del «Liberation Day» del 2 aprile, gran parte degli analisti prevedeva che il dollaro si sarebbe rafforzato rispetto alle valute di tutti i Paesi colpiti dai dazi americani.
Questa svalutazione potrà favorire le esportazioni di merci americane (armi ed energia comprese) in altri Paesi, rendendole più convenienti. E, viceversa, potrà penalizzare l’importazione negli Usa di beni prodotti in altri Paesi, in parte contribuendo al piano di Trump di rilanciare la manifattura a stelle e strisce.
L’affidabilità degli Usa
Non a caso, la svalutazione del dollaro è una delle chiavi per riaprire le fabbriche, secondo il consigliere economico della Casa Bianca, Stephen Miran. D’altronde, l’indebolimento del biglietto verde potrebbe celare anche il venir meno agli occhi del mercato dell’affidabilità del sistema economico-politico americano e, quindi, dello status di bene rifugio del biglietto verde e del debito pubblico Usa.
Un problema non da poco per il bilancio americano che a breve dovrà fare i conti con il «One Big Beautiful Bill» di Trump: fra nuove spese e tagli fiscali, si stima, il debito Usa salirà di 3-4000 miliardi.
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1 luglio 2025
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