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DiCaprio contro Sean Penn, il Leone d’argento di Venezia, l’amore in teoria di Lucini e altri 7 film al cinema o in digitale

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Chi indichereste come pericolo pubblico numero 1 nel ventennio della guerra mondiale a pezzi, della sicurezza in allarme rosso, delle regole saltate, delle famiglie con i nervi a fior di pelle? Risposta facile: il caos, il vortice perverso che avvicina Bene e Male fino a confonderli, la negazione della gentilezza e dei buoni propositi. Tutti contro tutti, tutti in trappola, tutti vittime e tutti colpevoli, e non c’è un’uscita secondaria. Prendete il caso di Bob Ferguson (Leonardo DiCaprio), nome di battaglia Ghetto Pat, rivoluzionario per amore della pasionaria Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor), che si fida del suo coraggio di assaltatore e bombarolo per il gruppuscolo eversivo French 75. Perfidia è il simbolo di un bisogno di libertà al limite del patologico: tutta d’un pezzo in nome degli ideali, ma anche pronta al compromesso. Con Bob sogna un mondo migliore al confine tra Messico e Stati Uniti e si avventura in rischiose missioni.

Tra loro spunta un’ombra, il colonnello Steven J. Lockjaw (un meraviglioso Sean Penn), marziale e pervertito, in lista d’attesa per entrare in un club di suprematisti che inneggiano a San Nicola e vedono come il fumo negli occhi le unioni miste. Il triangolo Ferguson-Perfidia-Lockjaw è la porta verso l’inferno. Lockjaw cede alla sensualità di Perfidia che lo umilia e intanto partorisce una bambina, Willa (Chase Infiniti). Perfidia sparisce e Bob, ritiratosi dalla lotta armata, fa il padre a tempo pieno, ammazzando tra alcol e droghe i rimorsi di un passato che porta solo dolori. Quando si tratta di tornare a combattere per salvare Willa, Bob cerca l’aiuto di Sergio Sensei (Benicio Del Toro) che ha un equilibrio instabile tra Sudamerica e Giappone. La trama, liberamente rielaborata, viene dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon (1990) che Paul Thomas Anderson rielabora cavalcando il puledro a briglia sciolta della sua immaginazione: è la seconda volta che attinge ai libri di Pynchon, una leggenda della letteratura americana, dopo il discutibile Vizio di forma (2014).

Stavolta il livello è più alto, così come l’ambizione di un progetto che sembra difficile da definire attraverso il linguaggio per immagini, densa com’è, l’opera di Pynchon, di teorie, divagazioni scientifiche, osservazioni alate e spesso definitive. La differenza è che in Una battaglia dopo l’altra c’è anche una trama romanzesca. Ci sono i battiti, i sospiri e gli spostamenti del cuore, i fatti e le persone, il cambiamento della morale e dei costumi, la rilettura nostalgico-depressa degli errori di gioventù, le utopie e il desiderio di libertà e la preoccupazione per un futuro di divisioni, rancori e fughe in avanti. Anderson dilata il tempo della narrazione fino ai giorni nostri, #metoo e Black Lives Matter compresi, adombrando l’anomalia trumpiana, l’avanzare della marea migratoria, il rischio della guerra civile e la rivoluzione identitaria che riguarda gli Stati Uniti, ma non solo; e traghettando il film da una sponda all’altra del tempestoso mare, tra la dolorosa riflessione e il feuilletton, tra il dramma con inserti buffi e la dimensione allucinata, rapsodica, esplosiva del diario post-moderno.

Il pathos si accompagna alla pietas in un reticolo di spin off intertemporali che rendono il film complesso ma intrigante, con frequente cambio di registri e inflessioni figurative. Un film di uomini: Bob Ferguson, l’innocente, e il colonnello Lackjaw, il soldato perduto. Ma anche di donne: la sensuale Perfidia, Deandra la saggia militante (Regina Hall) e Willa la giovane guerriera, simbolo di una gioventù che non sa più ritrovare un’idea condivisa di America ma rifiuta di arrendersi. Lackjaw, Ferguson e Willa sono i simboli di tre generazioni in contraddizione, predisposte all’autodistruzione. 1) I cattivi padri, 2) i cinquantenni che volevano cambiare il mondo e hanno visto morire i loro ideali, 3) i giovani che puntano alla tabula rasa per ripartire. Tutti tradiscono, o sono pronti a farlo. Tutti scappano, come possono. Tutti cercano sé stessi, spesso fallendo l’obiettivo. Persi in un inseguimento collettivo che diventa un congestionato balletto / ballata. Il territorio che il film di Anderson calpesta, tra polvere, fuoco e proiettili, diventa un personaggio, come già avvenne nella magica trilogia di PTA: Il petroliere, The Master, Vizio di forma. Sul fronte degli interpreti, detto di Sean Penn, il migliore del lotto, vale la pena di segnalare l’impegno di DiCaprio e l’autenticità di Chase Infiniti, adolescente esperta di arti marziali e osservatrice non distratta dello sfacelo americano. 

UNA BATTAGLIA DOPO L’ALTRA di Paul Thomas Anderson 
(Usa, 2025, durata 170’, Warner Bros Pictures) 

con Leonardo DiCaprio, Sean Penn, Benicio Del Toro, Regina Hall, Teyana Taylor, Alana Haim, Chase Infiniti 
Giudizio: 4 su 5 
Nelle sale

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