
«Gad Lerner, in un articolo di Antonio Carioti apparso sul Corriere della Sera del 31 agosto, si definiva un “appestato” per le sue posizioni di ebreo dissidente sulle scelte di Israele nella Striscia di Gaza ed esprimeva gratitudine per il dialogo che si era aperto con me. Io per quarant’anni ho fatto il medico. I medici, e così i rabbini, hanno il dovere di curare tutti, inclusi gli appestati. Se poi la cura è efficace, è tutto da vedere» .
Il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, non rinuncia all’ironia spiegando le ragioni che lo hanno spinto a confrontarsi con Lerner nel loro libro edito da Feltrinelli Ebrei in guerra/dialogo tra un rabbino e un dissidente e che uscirà domani.
Partiamo dal titolo che ha scelto lei. Ebrei in guerra: anche tra loro?
«Il titolo iniziale era “Gli ebrei e la guerra”. Poi ho proposto questo. Mi sembrava di maggiore impatto. Poi rispecchia un concetto: la guerra, per un ebreo, è soprattutto dentro sé stesso per controllarsi e crescere meglio. Nel momento in cui gran parte del popolo ebraico è impegnato in un conflitto armato la tensione tra gli ebrei si acuisce. Dopo il capodanno, per gli ebrei arriva il Digiuno di Ghedalia, che commemora l’uccisione da parte degli ebrei irriducibili di Ghedalia Ben Achikam, l’ultimo governatore ebreo della Giudea imposto dai babilonesi come mediatore. I babilonesi, dopo l’assassinio, decisero un ulteriore giro di vite e così finì l’indipendenza. Le lotte interne tra ebrei ci sono sempre state, anche con esiti sanguinosi. E c’erano forti tensioni in Israele prima del 7 ottobre 2023».
A dividervi è la firma di Gad Lerner al famoso appello del febbraio 2025, di ebrei e di altre personalità di origine ebraica, contro quella che Lerner definisce la pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania. Lei risponde parlando di un ennesimo attacco diffamatorio contro Israele da parte della propaganda organizzata dalla controparte. Ma si può, da ebrei, dissentire sulla risposta militare di Israele al 7 ottobre?
«Si può dissentire su qualsiasi cosa con argomenti ragionevoli. Quell’appello era solo un copia e incolla, nella grafica e nel testo, di un documento apparso negli Stati Uniti e in Australia: far credere in quel modo che gli ebrei fossero d’accordo nel ritenere che a Gaza stesse avvenendo una pulizia etnica è una bestialità. Gli ebrei dissentono su tante cose, ma esprimersi con appelli sui giornali è cosa diversa in un momento in cui il conflitto è anche pesantemente mediatico. E quell’appello sembrava indicare gli ebrei “buoni” distinguendoli dai “cattivi”. Per non parlare di quegli ebrei che si ricordano di esserlo solo quando firmano appelli».
La spaccatura che esiste nella società israeliana si è riverberata nell’ebraismo italiano?
«Nell’ebraismo italiano le divisioni non sono una novità. Ci sono stati momenti drammatici sotto il fascismo, durante la guerra in Libano del 1982. Tutto ciò che avviene nel mondo si dibatte e può dividere. Nessuno si appiattisce acriticamente sul governo Netanyauh o su questo o su quel ministro. Ma nell’ebraismo italiano c’è amplissima adesione sul fatto che c’è una guerra in cui è essenziale il tema della sopravvivenza di Israele. Io stesso me ne sono meravigliato: per esempio nel 1982 e la divisione era più molto più forte».
In un passaggio del libro, lei e Lerner vi confrontate sulla perdita dell’idea del sacro nella modernità e della sua permanenza nell’ebraismo. Vale anche per la guerra?
«Per un ebreo che si ricollega alla tradizione religiosa il sacro è onnipresente nella vita quotidiana: la permea, ne regola i ritmi, scandisce i momenti belli e quelli brutti, inclusa la morte. Quindi anche la guerra non sfugge al contatto col sacro. Ma nella tradizione ebraica non esiste il concetto di guerra santa o sacra ma quello di guerra obbligatoria o non obbligatoria. Ricordo però che l’unica volta in cui la parola sacro appare nella nostra Costituzione italiana, all’articolo 52, è quando definisce così il dovere della difesa della Patria».
Lerner afferma di provare la stessa angoscia di Liliana Segre e Edith Bruck all’idea che Gaza cancelli la memoria di Auschwitz. Lei replica che si tratta del tranello mediatico perfetto calcolato da Hamas per la reazione israeliana al 7 ottobre. La domanda resta: Gaza rischia di cancellare Auschwitz?
«Non è un rischio, ma un dato di fatto, una certezza nel momento in cui viene usata in una maniera così pericolosamente disinvolta la parola genocidio. Tutto è mediaticamente finalizzato a cancellare il vero genocidio, con una grande operazione di lavaggio delle coscienze utilizzando il senso di colpa dell’Occidente per la Shoa che così finirà per liberarsene completamente. E nulla sarà più come prima».
Come si può evitare questa cancellazione?
«Finché non verrà smantellata questa enorme macchina mediatica, non vedo rimedio».
27 settembre 2025
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