
L’aliquota del 15% sulle importazioni dall’Europa verso gli Stati Uniti, confermata dalla dichiarazione congiunta Ue-Usa sui dazi del 21 agosto, rischia di presentare al made in Italy un conto salato, compreso tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. A metterlo nero su bianco è il Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato tre scenari: il più ottimistico stima perdite attorno ai 7 miliardi, quello intermedio 7,5, mentre il più severo tocca quota 8 miliardi. Un’erosione che va misurata sul totale dell’export tricolore verso gli Stati Uniti, oggi oscillante tra i 66 e i 70 miliardi annui.
A farne maggiormente le spese sarebbero i settori di punta della manifattura italiana: meccanica strumentale e macchinari industriali, che da soli potrebbero vedersi gravare fino a 2 miliardi di dazi; seguono chimica e farmaceutica (1,7 miliardi), moda e pelletteria (1,1), agroalimentare (0,9), mezzi di trasporto (0,8) e, non ultimi, i beni di lusso ad alto valore aggiunto – occhiali, arredo e gioielleria – per circa 600 milioni.
L’aliquota uniforme non significa però impatto omogeneo. Molto dipenderà dalla capacità delle imprese di difendere i margini: trasferendo, almeno in parte, l’aumento dei costi sui listini, diversificando i mercati di sbocco o, in casi estremi, rivedendo le strategie produttive. In altre parole, la nuova offensiva tariffaria di Washington si traduce per il made in Italy in una sfida complessa, che non riguarda solo i conti, ma il posizionamento competitivo sui mercati globali.
21 agosto – 17:35
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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