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Dazi, la strategia del governo per arginare gli effetti: sì al fondo Ue sul riarmo

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Domani è il giorno zero. Quello in cui i dazi entreranno ufficialmente in vigore. E anche quello in cui si dovrebbe finalmente conoscere il testo a cui sta lavorando a ritmi serrati la Commissione Ue, quello che metterà nero su bianco gli impegni europei rispetto agli Stati Uniti. E, indirettamente, anche quelli di ciascuno degli Stati membri. 

Dunque, la linea è quella dell’attesa, anche se i leader si sono visti sia in Consiglio dei ministri che in una successiva riunione sull’immigrazione. Da Palazzo Chigi al Mef alla Farnesina sembra ci si sia passati parola: «Non c’è ancora un accordo di cui si possa parlare». L’unica certezza è quella che il governo ha chiesto di accedere al Safe, il fondo messo a punto da Bruxelles per i prestiti destinati alla difesa. Per l’Italia si tratta di 14 miliardi possibili, anche se non necessariamente dovranno essere utilizzati tutti. Il meccanismo, come ha spiegato ieri il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è favorevole, il debito dovrà essere ripagato a partire dal 2035 in 45 anni: «Se mi dite “pago il 3,5 sul Btp o il 3% sul Safe”, il ministro dell’Economia, se non è scemo, risponde: “Pago il 3% sul Safe e risparmio un po’ di interesse”». Al fondo hanno già aderito 18 Paesi, anche se i leghisti puntualizzano: «È stato detto sì soltanto alla manifestazione di interesse». L’adesione formale è fissata a novembre. Ma nella Lega si annuncia che sarà decisiva la possibilità di utilizzare i fondi anche per le infrastrutture a uso doppio, militare e civile. Per intendersi, il Ponte sullo Stretto e la nuova diga foranea di Genova. Quel che pare complicato è attingere alle risorse del Pnrr, che peraltro scade nel 2026: «Non è possibile — ha detto il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti — avanzare alcuna valutazione né tantomeno prospettare una rimodulazione coerente» del Pnrr. 

Le sensibilità, nella maggioranza, sono diverse. I leghisti sono taglienti: «Citofonate Ursula». I salviniani fanno qualche fatica a nascondere il gusto che provano per le difficoltà della presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Del resto, il capo dei senatori Massimiliano Romeo lo dice a chiare lettere. Rivolto ai banchi dell’opposizione che, dal giorno dopo la stretta di mano tra Trump e von der Leyen, è all’attacco serrato della premier Meloni, il capogruppo finge di stupirsi: «Ma come? Voi della sinistra non chiedevate a Meloni di affidarsi a von der Leyen? Questo è il risultato». 

Tra i Fratelli d’Italia si esibisce invece un cauto ottimismo. E così, la buona notizia — se così si può chiamare — viene da una dichiarazione del presidente di Confindustria Orsini. Che al termine di un incontro con i sindacati, dice che l’associazione degli industriali ha «mappato una perdita possibile di 22,6 miliardi». Il presidente lo dice per sottolineare che «serve subito costruire delle compensazioni, serve una politica industriale anche su questi temi, perché ovviamente la politica industriale dovrà mettere al centro nuovi mercati e comunque gli investimenti». Ma da Fratelli d’Italia quel che si vuol far notare è soprattutto il fatto che «durante il primo tavolo per valutare l’impatto dei dazi, lo scorso aprile, si era parlato di una perdita possibile di circa 25 miliardi». Insomma, l’accordo preliminare con gli Stati Uniti avrebbe un conto addirittura migliore del previsto. E se appunto è difficile misurare l’impatto dei dazi settore per settore — le preoccupazioni maggiori sono per l’agroalimentare — una buona notizia indiretta viene dal segretario al Commercio Howard Lutnick sul settore farmaceutico: l’Unione, ha detto, «si tutela sulle auto, sui prodotti farmaceutici e sui semiconduttori. Anche se i francesi hanno molto da dire, sono stati in grado di proteggere Sanofi. Senza questo accordo, Sanofi sarebbe diventata un’azienda Usa»

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30 luglio 2025 ( modifica il 30 luglio 2025 | 23:07)

30 luglio 2025 ( modifica il 30 luglio 2025 | 23:07)

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