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Dazi, la mappa aggiornata delle tariffe imposte da Donald Trump: i 5 punti chiave

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Difficile navigare nel mare turbolento delle decisioni assunte dal presidente Usa Donald Trump in materia di dazi. Un solo esempio, quello della Cina, fa capire la complessità della materia. L’altalena delle aliquote riservate alle importazioni negli Stati Uniti dei prodotti della seconda economia mondiale è impressionante. A febbraio di quest’anno le tariffe sulle importazioni di prodotti cinesi erano ferme al 10%. Il 1° marzo scorso c’è stato un primo aumento al 20%. Il 2 aprile, all’epoca del «Liberation Day», le tariffe «reciproche» sono balzate al 54%. In seguito alla reazione di Pechino, che ha subito imposto dei controdazi ai beni importati dagli Usa, l’aliquota si è impennata al 104% per poi toccare entro fine mese per pochi giorni il livello parossistico del 145%. A maggio, in un impeto di pacatezza, la Casa Bianca ha poi deciso di applicare un tariffa, ancora da confermare, del 30% sulle importazioni dalla Cina. Per districarsi in una giungla di aliquote che  avvolge come una ragnatela tutti i Paesi del mondo il New York Times, giornale tradizionalmente critico verso l’Amministrazione, ha tracciato una bussola in cinque punti contenente i principali aggiornamenti. 

Le tariffe di giovedì 30 luglio

Giovedì 30 luglio il presidente Usa ha fissato una raffica di nuove aliquote comprese fra il 15 e il 50% per i beni di importazione indirizzate a dozzine di Paesi accusati di pratiche commerciali ingiuste verso gli Stati Uniti. Paesi come la Bolivia, l’Ecuador, l’Islanda e la Nigeria se la sono cavata con tariffe al 15%, mentre altri tra cui lo Sri Lanka, Taiwan e il Vietnam subiranno dazi all’importazione del 20%. Nel caso dell’India l’aliquota sarà del 25%. Una delle tariffe più alte, il 50%, viene imposta al Brasile, dopo l’attacco rivolto al presidente Lula per il suo modo di trattare il presidente precedente Jair Bolsonaro, sotto processo per l’accusa di aver tentato un colpo di stato.

L’aliquota  standard al 10%

Alcuni Paesi, ed è difficile individuare una logica in questa scelta, continueranno  a pagare una tariffa standard del 10%. Si tratta di Paesi con caratteristiche molto diverse tra loro visto che questo gruppo comprende l’Australia, Singapore, l’Egitto, il Marocco, l’Ucraina, la Russia, il Perù, l’Argentina e la Colombia. E’ possibile che alcuni di questi paesi entreranno nel mirino dell’amministrazione Usa in una fase successiva, dopo la definizione degli accordi commerciali con alcuni partner.

I nuovi accordi, anche con l’Ue

In un primo tempo l’obiettivo di Trump, secondo quanto riferito da alcuni collaboratori, era di stringere 90 accordi in 90 giorni. Di fronte alla difficoltà di centrare questo risultato il presidente Usa ha deciso di stringere accordi preliminari con un pugno di nazioni, tra cui l’intera Unione europea, entro la data del 1° di agosto, poi slittata al 7 di agosto. In seguito ad ognuno di questi accordi sono state fissate tariffe del 15% (o superiori) , ma comunque inferiori a quelle stabilite in precedenza in assenza di concessioni commerciali favorevoli o all’impegno di realizzare nuovi investimenti negli Stati Uniti. Tuttavia i dettagli di questi accordi restano nebulosi e in molti casi il negoziato è ancora in corso. In particolare con l’Unione europea il presidente Usa ha siglato un accordo preliminare con tariffe al 15% che comprende anche i prodotti farmaceutici e le auto. Una rete di accordi è stata siglata anche con Gran Bretagna (10%), Vietnam (20%, Filippine (19%), Indonesia (19%) e Giappone (25%). Particolarmente penalizzante il dazio imposto alla Svizzera che ammonta al 39%.

Il caso della Cina 

La Casa Bianca ha fissato una tariffa di base del 30% sulle importazioni di prodotti cinesi in base ad un accordo siglato in maggio che, almeno fino ad ora, ha impedito un’escalation ritorsioni tariffarie tra le due superpotenze. La scadenza di questo accordo è prevista per il prossimo 12 agosto per quanto sia probabile uno slittamento in avanti di questa data per permettere un approfondimento dei negoziati. Trump ha già annunciato che le tariffe potrebbero tornare a crescere in assenza di un’intesa, ma ha anche segnalato che rimarranno comunque inferiori a quel 145% fissato per breve tempo in aprile nel periodo di massimo scontro tra i due Paesi. La Cina è da sempre nel mirino di Trump fin dai tempi del suo primo mandato. 

Canada e Messico

Canada e Messico, insieme a Unione europea e Cina figurano in primissima posizione tra i partner commerciali degli Stati Uniti. Giovedì scorso Trump ha annunciato che i beni importati dal Canada saranno soggetti a una tariffa del 35%, in aumento rispetto al valore precedentemente fissato del 25%. Nello scorso febbraio la Casa Bianca aveva stabilito una aliquota del 25% sia per il Canada che per il Messico con il pretesto che i due Paesi non facevano abbastanza per impedire l’arrivo negli Stati Uniti del fentanyl, la droga che fa strage fra i giovani. Il Messico a differenza del Canada (punito per il suo annuncio di voler riconoscere lo stato della Palestina) non dovrebbe subire un ulteriore incremento dell’aliquota perché nei prossimi 90 giorni è prevista una continuazione delle trattative tra i due Paesi. 

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1 agosto 2025 ( modifica il 1 agosto 2025 | 11:56)

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