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Dazi, la Campania perde 268 milioni. Da oggi in vigore le barriere doganali volute da Trump

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Alla scadenza fissata dal presidente degli Stati Uniti per oggi, 7 agosto, il Corriere del Mezzogiorno fa un viaggio nell’economia campana per misurare gli effetti indotti dai dazi di Donald Trump. I timori maggiori sono avvertiti nello stabilimento di Stellantis a Pomigliano, ma non solo, perché nella regione vi sono anche numerose aziende, grandi, medie e piccole, specializzate nella subfornitura automobilistica, a partire dal gruppo Adler, attivo in oltre 20 Paesi, che fa capo a Paolo Scudieri. Se la gabella alla dogana Usa sul settore resta al 27,5%, anche se si sta ancora lavorando per ridurla al 15%, inevitabilmente il mercato americano per le macchine prodotte in Europa si potrebbe trasformare in un’irraggiungibile chimera.

Ma se i produttori di auto piangono, gli imprenditori dell’agroalimentare certo non ridono. Il settore nella regione avrà un calo stimato dagli economisti in 123 milioni. Nel mirino soprattutto vino, olio, formaggi, pasta e conserve, secondo Carmine Fusco, di Cia Agricoltori della Campania. «Il vero danno – spiega Fusco – non sta solo nei dazi, ma in una combinazione devastante con il tasso di cambio euro dollaro. Il rafforzamento della moneta europea rispetto a quella americana ha, infatti, già generato uno squilibrio che incide fino al 25% sul prezzo finale percepito dal consumatore americano». Si preannunciano tempi duri per vigneti, uliveti, laboratori caseari, aziende conserviere, pastifici. A proposito di questi ultimi, secondo i dati Ipo, nel 2024 il consumo di pasta pro capite negli Stati Uniti è stato di circa 8,8 chilogrammi all’anno, una domanda in crescita, con un incremento del giro di affari del 6,6%. L’Italia ha esportato negli Stati Uniti pasta per un valore di 805 milioni. È la Campania, con oltre 500 pastifici, tra industriali e artigianali, la prima regione italiana a subire i contraccolpi dei dazi al 15% imposti da Trump.

Cristiano Laurenza, segretario dei pastai di Unionfood, avverte: «non sono sostenibili dalle aziende e finiranno col pesare, di fatto, sulle tasche dei consumatori». Per di più, non va sottovalutato che l’Italia dipende sempre più dalle importazioni di grano duro, in particolare canadese e turco, a fronte del crollo di produzione nel nostro paese sia per la persistente siccità, sia per il crollo dei prezzi pagati agli agricoltori. Altro prodotto iconico campano è la mozzarella di bufala, che punta ancora sul mercato americano: vale tra il 7 e il 10% dell’export totale, in valore assoluto quasi 20 milioni.
«I dazi penalizzano le potenzialità di sviluppo del comparto negli Usa, soprattutto nel canale horeca, dove la mozzarella dop è percepita come prodotto premium ed è apprezzata nella ristorazione di qualità», commenta il presidente Domenico Raimondo.
Preoccupati anche i conservieri, che in Campania sono numerosi. Il 60% delle conserve di pomodoro prodotte in Italia sono vendute all’estero per un valore di 3 miliardi. «Gli Stati Uniti rappresentano una fetta importante, con il 15% dell’export extra europeo», spiega Giovanni De Angelis, direttore generale di Anicav. La qualità dei nostri pelati, passate e polpa pronta riesce a battere l’Italian sounding e i prodotti americani della California, ma l’aumento dei prezzi provocato dai dazi rischia di far ricadere la scelta dei consumatori americani su conserve più convenienti.

Ecco perché Svimez stima un calo complessivo di 268 milioni di esportazioni campane negli Stati Uniti, equivalenti a una riduzione del 14%. L’effetto riflesso sull’economia regionale sarebbe pesante, un calo del Pil di 196 milioni. Con conseguenze anche sull’occupazione con un taglio del numero di addetti: i posti di lavoro a rischio sono oltre 3.500. Il maggior calo dell’export si registrerà nell’agroindustria (-123 milioni), seguono siderurgia (-46), automotive (-33), tessile e abbigliamento (-16), farmaceutica e chimica (-13), meccanica (-11), altri mezzi di trasporto (-10), mobilio (-5). Già la Campania aveva notevolmente ridotto le esportazioni sul mercato americano a fine 2024, prima che entrassero in vigore i dazi trumpiani: da 2 miliardi e 680 milioni nel 2023 a un miliardo e 926 milioni a dicembre dello scorso anno.
 
Una perdita di quote di mercato di oltre il 28%. Il viaggio non può che terminare nelle banche, perché sia la rivalutazione dell’euro rispetto al dollaro di oltre il 10% da quando Trump è presidente che le scelte di politica monetaria della Bce in Europa e della Fed in Usa hanno effetti pari, se non addirittura superiori, ai dazi. Infatti, alla gabella di Trump in Campania, come in generale in tutto il Sud, bisogna aggiungerne un’altra, che riguarda il credito. Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, la definisce esplicitamente «un’apartheid finanziario che cristallizza le disuguaglianze».
E i numeri non mentono mai: un’impresa campana, nel primo trimestre di quest’anno, pagherà in un decennio 8.400 euro in più di una ubicata nel Lazio se ha chiesto in prestito a una banca 100mila euro con tale scadenza. Il costo del danaro nella regione è pari al 5,15%, nel Lazio è, invece, il 4,31%. Il che significa che ogni anno un’azienda locale paga 5.150 euro annui di interesse, l’altra 4.310. Se poi è una famiglia a chiedere il prestito, in Campania deve versare alla banca 5.760 euro annui, in Emilia-Romagna 4.200 euro, ben 1.560 euro in più ogni dodici mesi sullo stesso affidamento di 100mila euro. E tutto ciò sempre escludendo eventuali sofferenze creditizie, perché in quel caso il costo del denaro sale ulteriormente e non di poco. Confcooperative e Censis lo chiamano, senza giri di parole, «dazio del credito» e hanno ragione da vendere.
 
Solo le banche territoriali, a partire da quelle di credito cooperativo, non applicano interessi così elevati. In 6 anni il tasso annuo effettivo globale, che gli addetti ai lavori chiamano Taeg, è aumentato addirittura del 2,43%. E il futuro non è più roseo. In quanto anche nel 2026 le microimprese avranno un maggior indice di deterioramento che sarà triplo rispetto alle grandi. Il settore delle costruzioni resterà quello più a rischio, con tassi oscillanti attorno al 3,2%, mentre l’industria scenderà al 2,1%. Non è un miglioramento, è la cristallizzazione di un sistema creditizio a due velocità, che purtroppo caratterizza da sempre il sistema bancario italiano. E penalizza il Sud.


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7 agosto 2025 ( modifica il 7 agosto 2025 | 08:08)

7 agosto 2025 ( modifica il 7 agosto 2025 | 08:08)

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