Home / Economia / Dazi, il caso formaggi: il Parmigiano può festeggiare, colpo al Pecorino romano

Dazi, il caso formaggi: il Parmigiano può festeggiare, colpo al Pecorino romano

//?#

Prima della seconda era Trump, il pecorino romano venduto negli Stati Uniti, per ragioni storiche, era esente da dazi. I formaggi freschi, come la mozzarella, pagavano una tariffa doganale del 10%, quelli stagionati come il parmigiano reggiano del 15%. Dal 9 aprile, con l’introduzione di una tariffa base del 10% su tutti i beni importati dall’Ue (ad eccezione di acciaio , alluminio e auto), in attesa di un accordo commerciale tra Usa ed Europa, le tariffe su tutti i formaggi italiani sono aumentate di 10 punti percentuali. Perciò il pecorino è passato da zero dazi a un prelievo del 10%; il dazio sui formaggi freschi è raddoppiato dal 10 al 20%, mentre l’aggravio doganale sul parmigiano, sul grana padano e sugli altri formaggi stagionati è salito dal 15% al 25%. Dal 7 agosto tutti i dazi saranno uniformati al 15%. 

Il balletto dei numeri, però, ha già fatto danni in un settore che vale 26,6 miliardi, è al primo posto nell’industria agroalimentare italiana ed esporta formaggi per 500 milioni di euro negli Stati Uniti, il nostro primo mercato di sbocco extra Ue. «Tra aprile, maggio e giugno, le esportazioni verso gli Stati Uniti sono scese del 18-19%. Non tanto per l’impatto diretto del dazio, quanto per la grande incertezza generata da continui annunci e revisioni», sostiene Massimo Forino, direttore di Assolatte, l’associazione italiana che raggruppa 2 mila imprese di trasformazione, 30 mila aziende agricole e circa 150.000 famiglie. Il 75-80% del volume esportato è costituito da pecorino romano (il formaggio italiano più esportato negli Usa con 12 mila tonnellate), parmigiano (al secondo posto) e grana padano, che insieme valgono circa 20 mila tonnellate. Ma il pecorino è quello più dipendente dal mercato Usa, che assorbe un terzo della produzione annua, essendo molto usato per piatti come la pasta alla carbonara e cacio e pepe. Più piccolo, ma in forte crescita, il segmento dei formaggi freschi: il mascarpone, usato per il tiramisù, ha superato le 2 mila tonnellate l’anno e vale circa 14 milioni di euro. 

Ora con i dazi uniformati al 15% su tutti i formaggi, Forino stima un costo aggiuntivo di «circa 27 milioni l’anno sull’export italiano, di cui 25 milioni a carico del pecorino romano. Il problema non sono solo i dazi. «La svalutazione del dollaro di circa il 17% in tre anni e l’inflazione hanno già reso i nostri prodotti più cari. L’applicazione di tariffe su prezzi più alti incide molto di più», dice Forino. Il vero test arriverà nei prossimi mesi. Quando nel 2019 ci fu un aumento dei dazi del 25% legato alla disputa Boeing-Airbus, le vendite calarono del 18% in un anno. Assolatte si aspetta una flessione simile. Una mano potrebbe arrivare da una revisione della normativa italiana, obsoleta e più severa di quella Ue, «dazi interni», secondo Forino, che pesano sulla competitività del settore. «Abbiamo una definizione di formaggio che risale al 1925. La ricotta, per esempio, in Italia non è nemmeno considerata tale. E le norme sugli ingredienti sono ferme al 1974».

Nuova app L’Economia. News, approfondimenti e l’assistente virtuale al tuo servizio.


Nuova app L’Economia. News, approfondimenti e l’assistente virtuale al tuo servizio.

3 agosto 2025 ( modifica il 3 agosto 2025 | 08:29)

3 agosto 2025 ( modifica il 3 agosto 2025 | 08:29)

Fonte Originale