
Chissà cosa accadrebbe se Charles Darwin (1809-1882), il padre della teoria dell’evoluzione, tornasse in vita e leggesse i giornali o i social. Probabilmente rimarrebbe inorridito dalle schiere di politici, loro accoliti e creator digitali che attaccano ogni giorno il mondo scientifico. Per un uomo come lui, abituato alla riflessione maniacale – annotava ogni pensiero in taccuini e impiegò quasi mezzo secolo per formulare la sua celebre teoria – sarebbe un carico insostenibile.
A riportarlo tra noi è David Quammen, divulgatore scientifico americano diventato celebre nel 2012 con Spillover (Adelphi), il saggio in cui prefigurò la pandemia da SARS-CoV-2. Con L’evoluzionista riluttante (Cortina), ripubblicato poco tempo fa in Italia, ha tracciato un ritratto a tuttotondo di Darwin. Lo presenterà domani, 27 settembre, al festival scientifico Trieste Next, in dialogo con la neo-rettrice dell’Università di Trieste Donata Vianelli.
Quammen, lei ha messo la sua parola al servizio della scienza. Come valuta lo stato di salute di questo sapere?
«La scienza, una parola vasta che racchiude così tante aree diverse, è oggi, dal punto di vista intellettuale, più solida che mai. Ma è anche ferita, minacciata sul piano politico e finanziario. La fiducia del pubblico nei suoi confronti è erosa: leader politici ignoranti e malevoli, insieme a influencer dei social, l’hanno attaccata con insistenza e ne hanno distorto la natura. Nel mio Paese, le grandi istituzioni che per decenni hanno sostenuto la scienza con i fondi e tradotto i suoi risultati in applicazioni concrete – la medicina, e altri beni sociali – sono state svuotate, indebolite, piegate a scopi politici, in alcuni casi addirittura annientate».
A cosa si riferisce?
«Parlo del CDC, dei National Institutes of Health, della Food and Drug Administration, della US Agency for International Development: quest’ultima, per esempio, è stata di fatto distrutta, cancellata dal Presidente in carica e dai suoi sodali. Eppure, gli scienziati restano coraggiosi, tenaci, forti. Gran parte dell’opinione pubblica, non solo in America e in Italia, ma altrove, risulta invece smarrita, disorientata: ignara non solo di ciò che la scienza “dice”, ma della sua natura. Perché la scienza è un processo umano di avvicinamento graduale a una comprensione sempre più accurata dell’universo fisico. E come processo umano è portata avanti da persone brillanti e ambiziose, pazienti e impazienti, a volte meschine, a volte nobili, competitive, idealiste, coraggiose, innamorate della verità… e sì, anche fallibili».
I filosofi della scienza addebitano parte di questa sfiducia ai comunicatori della scienza.
«Chi scrive di scienza ha un doppio dovere: intrattenere i lettori e al tempo stesso illuminare il carattere umano, ma veritiero, del metodo scientifico. Charles Darwin incarna al meglio queste qualità: talvolta incerto, perfino insicuro, talaltra in errore, ma sempre coraggioso e animato da un amore profondo per la verità. Ecco perché mi rallegra tanto vedere la ripubblicazione in Italia della mia biografia di Darwin. È un faro per i tempi di crisi che stiamo vivendo».
Nel suo L’evoluzionista riluttante, lei tratteggia un Darwin geniale ma anche inquieto, indeciso. Perché la sua figura parla ancora a noi oggi?
«Darwin è un uomo adatto ai nostri tempi travagliati. Un uomo fondamentalmente conservatore, che si ritrovò a formulare un’idea radicale, epocale. E la portò a compimento: con esitazioni, con pause, con prudenza, ma anche con eroica meticolosità. La pubblicò, e ne sopportò le conseguenze. Umile, qualche volta incerto, scrupoloso nella ricerca di prove a sostegno o confutazione della sua teoria, ma anche coraggioso. E gentile. Nel mio libro lo racconto attraverso un aneddoto finale che chiamo “l’ultimo coleottero di Darwin”».
Spillover, il bestseller che l’ha consacrata, si è rivelato profetico, come ha ricordato il filosofo Telmo Pievani nell’introdurla al Festival della Filosofia. Dal Covid-19 abbiamo imparato davvero qualcosa sul nostro rapporto con gli animali selvatici?
«Abbiamo appreso – intendendo con “abbiamo” la comunità scientifica – una lezione importante: come progettare e produrre vaccini nuovi, per un virus nuovo, più rapidamente ed efficacemente che mai. Ciò che non abbiamo imparato – e qui mi riferisco al pubblico e i leader politici – è che la pandemia di Covid non è stata un incidente isolato, un fulmine a ciel sereno, ma la conseguenza di ciò che facciamo. E che proseguiamo a fare. Per questo è molto probabile che altre pandemie ci aspettino, non troppo lontano».
Ci spieghi meglio.
«Cosa stiamo facendo? Devastiamo gli ecosistemi naturali con la nostra voracità insaziabile. Sovrappopoliamo la Terra di esseri umani che consumano risorse. Catturiamo e trasportiamo animali selvatici per sfamarci. Alleviamo animali domestici in scala industriale. Facciamo orecchie da mercante quando la scienza ci invia degli avvertimenti. Eleggiamo leader ignoranti, egocentrici e seminatori di zizzania. Infastidiamo persino i pipistrelli, che vorrebbero solo vivere in pace».
Darwin, per lo meno, era un uomo pacifico. Giunse alla teoria dell’evoluzione anche grazie al confronto con il giovane Wallace. Come evolve oggi quella teoria, e quali nuove frontiere apre?
«La teoria di Darwin – la selezione naturale – è più viva, più illuminante e più necessaria oggi che mai. Non solo per gli scienziati, ma per tutti. Pensiamo a un caso specifico: come comprendere l’origine e la comparsa improvvisa di un virus nuovo e pericoloso come SARS-CoV-2? Senza ecologia ed evoluzione, non ci arriveremmo. Un altro esempio: il cancro. È un fenomeno evolutivo. I tumori evolvono, per selezione naturale. Ed è questo a renderli così difficili da sconfiggere. È un tema a me particolarmente vicino, ed è infatti l’oggetto del mio prossimo libro, in uscita l’anno prossimo».
Darwin, dopo aver speso parte della sua vita in città, scelse la campagna. Il suo rapporto con la natura e con gli animali come ha modellato la sua visione scientifica? E cosa ci insegna oggi, in piena crisi ecologica?
«Darwin scoprì la storia naturale da giovane studente a Edimburgo, quando ancora tentava di studiare medicina. Poi, a Cambridge, coltivò una passione quasi ossessiva per la raccolta dei coleotteri. Ma la sua visione della natura, allora, restava convenzionale. Fu il viaggio a bordo della nave Beagle a trasformarlo: cinque anni in cui, da naturalista di bordo, imparò l’arte di osservare con occhi nuovi, cercando non solo i fatti ma i disegni che quei fatti compongono. Prima la geologia, poi la paleontologia – alla ricerca di fossili di mammiferi estinti sulle coste dell’Argentina – e infine le isole Galápagos. Solo tre settimane, su un viaggio di cinque anni, ma cruciali. Lì vide specie diverse, adattate in modo sorprendente e unico alle varie isole. E cominciò a porsi la domanda che la scienza naturalistica “convenzionale” non si era mai posta finora: Perché? Perché quelle differenze?».
La risposta ormai la conosciamo.
«La risposta, capì alla fine, era: evoluzione. Ed è questa la lezione che ci lascia oggi. Non guardare un canguro arboricolo, una testuggine gigante, un coleottero incapace di volare, un drago di Komodo, un uccello del paradiso con la coda lunga un metro e mezzo, e dire: “Dio.” Occorre guardarli, e chiedersi: “Perché?” Qual è il processo naturale, grandioso e intricato, che li ha portati ad esistere? E annoverare se stessi tra i fortunati, ad abitare un pianeta chiamato Terra, popolato da forme di vita straordinarie e animato da un processo che chiamiamo evoluzione per selezione naturale».
Oltre a L’origine delle specie, Darwin scrisse opere meno celebri, come quelle sulle orchidee o sui cirripedi. Quanto potrebbe giovare riscoprirle per appassionare di più il pubblico?
«Sì, ci sono altri libri di Darwin che meriterebbero più attenzione. Il resoconto narrativo del suo diario di viaggio sulla Beagle, ad esempio: un testo avventuroso, denso di storia naturale, spesso pubblicato col titolo Il viaggio del Beagle. Oppure il volume sulle orchidee, subito dopo L’origine: un’applicazione brillante della sua teoria della selezione naturale a un regno di forme stupefacenti. O ancora il piccolo libro sui lombrichi, uscito quasi alla fine della sua vita. Quest’ultimo è uno dei miei preferiti. Ne ho scritto in passato. Darwin allevava colonie di lombrichi nel suo studio, li osservava, li rispettava. Si chiedeva, per esempio: come reagisce un lombrico al suono del pianoforte? Chiese a sua figlia di suonare, e si mise a osservarli. Questa era la sua curiosità: radicale, aperta, priva di pregiudizi. Un uomo tra i più attenti e profondamente curiosi che la storia ci abbia consegnato. Un mio eroe, e spero un eroe anche per i lettori di questo mio piccolo, affettuoso libro».
Informazioni su Trieste Next
Trieste Next è il festival della ricerca scientifica in programma a Trieste dal 26 al 28 settembre 2025. Tra i grandi nomi del festival anche Brian Kobilka, Giorgio Vallortigara, Luigi Naldini, Giuseppe Remuzzi, Sergio Della Sala, Giuliana Mazzoni, Barbara Stenni, Adriana Cavarero, Miguel Benasayag, Stefania De Pascale e Federico Faggin. L’incontro con Quammen, realizzato con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, si terrà venerdì 26 settembre alle 21 in piazza Unità d’Italia.
25 settembre 2025
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