Anni ’80: Dario Faini ha 9 anni, vive ad Ascoli e inizia a studiare pianoforte classico. Intanto ascolta tutti generi musicali e all’epoca ce n’è per ogni gusto. Ma il primo incontro che desta la sua curiosità è con il Rondò Veneziano: «Musica elettronica e classica insieme. Era intrigante, hanno portato il barocco nel mondo del pop e dell’elettronica», ricorda. La vera epifania arriva con David Bowie, di cui studia tutta la discografia fino alla trilogia berlinese con Brian Eno. E da lì, i Chemical Brothers, i Prodigy. È ancora un bambino, ma già artista per intuire il potenziale dell’unione tra musica e tecnologia.
Oggi Dario Faini ha 49 anni, è pianista, produttore, compositore e nel mondo musicale è conosciuto come Dardust. Un nome che vale come una sentenza della Cassazione: se produce lui, è un successo sicuro. Lo dicono i 100 dischi di platino e il suo nome dietro alle hit più note di artisti come Jovanotti, Elisa, Marco Mengoni, Elodie, Lazza. Per Mahmood e Angelina Mango ha firmato «Soldi» e «La noia», entrambi vincitori di Sanremo. Da un paio d’anni, però, Dardust ha messo da parte il pop per concentrarsi sul suo ruolo di innovatore dallo stile anticonvenzionale. Ora cerca un equilibrio tra tecnologia e musica. E se all’inizio c’erano elettronica, sintetizzatori, software, questa è l’epoca dell’intelligenza artificiale generativa che rappresenta «una grande opportunità ma anche un paradosso».
Partiamo dall’opportunità.
«Rispetto alla complessità della musica classica, l’elettronica mi ha aperto un nuovo mondo sonoro e ambientale. A 16 anni ho comprato il primo sintetizzatore, una bass station che usavano i Radiohead e Morgan con i Bluevertigo. È stata la mia porta verso il futuro. Con l’arrivo del primo computer ho iniziato a lavorare con i software e ho raggiunto la mia indipendenza: non dovevo più poggiarmi agli altri, andare negli studi ad Ascoli, usare il multi traccia, dove potevo registrare una traccia alla volta, con poca possibilità di fare edit. Il software Cubase è diventato il mio mondo musicale virtuale. La sensazione era di essere libero. La mia creatività poteva nascere in casa. È stata la prima scintilla verso l’indipendenza creativa».
Quando usa la tecnologia: nella composizione, nella produzione, nell’esecuzione?
«Adesso per tutto. Il mio approccio è multidisciplinare: dall’analogico al digitale fino all’organico (tutto ciò che è acustico, la verità dello strumento che suona). Non c’è una regola: magari parto dal piano, registro un giro, poi passo ai software e inizio ad aggiungere suoni elettronici, virtuali, sintetizzatori analogici».

Oltre a indipendenza e libertà, quali altri vantaggi ci sono dall’uso delle nuove tecnologie?
«La velocità nell’ottimizzazione di un’idea. Solo grazie ad alcuni servizi di AI più rudimentali e all’accesso a piattaforme di campionamento, puoi estrarre parti singole o richiamare suoni simili ad altri nel giro di pochi secondi. Il pensiero laterale resta alla base della creatività ma questi nuovi sistemi ti permettono di trovare nuove figure in pochissimo tempo. In un’ora puoi avere già la bozza finale di un pezzo».
Ha nominato l’intelligenza artificiale. Che uso ne fa un musicista all’avanguardia come lei?
«Oggi siamo a un bivio, viviamo una forma di paradosso abbastanza estremo. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un modernariato del pop grazie all’urban e all’hip pop. È successo perché le piattaforme digitali e l’uso dei campionamenti hanno democratizzato la figura del producer: in tanti hanno avuto accesso a questa “sapienza” perché c’è stata una semplificazione nel lavoro. Si è creato uno scenario popolato da nuove sonorità e nuovi producer. Una grande rivoluzione democratica e futurista del pop. Ma, ecco il paradosso, tutto ciò ha creato una saturazione e una controtendenza a riportare le cose alla verità, agli strumenti veri che suonano. Negli ultimi dischi di Miley Cyrus, Post Malone e nel country di Beyoncé c’è un ritorno alla purezza».
Intanto Timbaland, producer di fama mondiale, ha lanciato TaTa, la prima popstar interamente prodotta dall’AI con la piattaforma Suno. È preoccupante?
«Timbaland ha questa visione futurista. Ma è anche il motivo per cui quando inventa TaTa e inaugura l’A-Pop vedo perplessità e preoccupazione nel settore musicale. È una robotizzazione della creatività che porta lontano dal cuore e dall’emotività, alla base della musica e della fruizione dell’arte. Più va avanti l’AI e più si crea una saturazione e una sovrappopolazione di progetti, favorita anche dallo streaming. L’AI accelera un’esplosione di prodotti e di opere provocando una perdita della bussola, non sai più dove orientarti. Per questo si è creata una sana tendenza al ritorno alla verità».
Creare con l’AI riduce il valore di un’opera d’arte?
«Secondo me, e ora parlo da laureato in psicologia, la fruizione di un’opera d’arte si basa su due principi: l’identificazione e la proiezione. Quando ascolti un brano, trovi elementi in cui ti identifichi, oltre alla fruizione si verifica anche uno scambio emotivo. L’intelligenza artificiale forse porta a una riduzione di questo aspetto perché la risonanza emotiva si basa su una verità. Con la scienza e l’AI vai nella direzione opposta. Però l’intelligenza artificiale è decisiva nelle operazioni di artigianato: se devi migliorare un rullante della batteria, ne chiedi altri dieci simili e te li dà. Ma il regista delle emozioni devi sempre essere tu».

Avverte il rischio che un artista possa essere sostituito dall’AI generativa?
«Più che altro avverto un effetto cringe, di disagio, meccanico che aleggia anche nei video. Uso il termine “perturbante”, qualcosa di inquieto si percepisce nei prodotti dell’AI. Non ritrovi la sfumatura che solo l’inconscio e la tua emotività riescono a cogliere. Il pericolo, casomai, è che la nostra emotività diventi più superficiale. Ma ne dubito perché l’emotività dell’uomo si preserva. È la mia speranza: l’AI è un aiuto non la regia. Come tutte le rivoluzioni, crea timore ma la cosa che può fare l’uomo è usarla come opportunità e integrarla con sapienza».
Quale modello di AI usa?
«ChatGpt tantissimo per trovare nuovi scenari, slogan, associazioni metaforiche di parole. Nell’ultimo disco “Urban Impressionism” ho unito brutalismo e impressionismo: ChatGpt mi ha aiutato a sviluppare associazioni tra gli scorci brutalisti e le dinamiche dell’impressionismo. Più che risposte, mi ha aiutato a creare nuove domande per il processo laterale della creatività. Grazie all’astronave di estensione tecnologica e alla mia anima, si crea un nuovo mondo che parte da esperienze vere».
Come si mettono insieme brutalismo, impressionismo e pianoforte?
«C’è l’impressionismo musicale di Debussy e Ravel (che preferivano essere chiamati simbolisti), innovatori per le armonie e i colori inediti. E c’è quello pittorico che ritrae l’impressione del momento portando nuova luce. È quello che faccio con i miei spettacoli: non descrivo concetti ma impressioni. Del brutalismo mi piaceva l’idea del mettersi a nudo, senza coprirsi dietro una facciata ornamentale. Il semplice suono del piano esprime una verità, anche con i suoi limiti. Prima mi nascondevo dietro i laser, i visual e le luci, ora è tutto in bainco e nero, i colori li mette la musica. Ci siamo io e il piano nudo e pochi accessori elettronici».
Come ha reagito il pubblico?
«Prima la gente aveva tanti suoni e colori e passava due ore meravigliose. Ora sento che il pubblico mi è più vicino, è dentro la musica. Mi segue in questa fase più realistica. È la testimonianza che la verità emotiva è l’arma più potente per comunicare con gli altri. È un altro campionato, più appagante».

Tra i tanti artisti con cui ha collaborato, chi è più disposto a sperimentare?
«Elisa e Jovanotti. Lorenzo è un impavido, un pioniere, eterno curioso. Non ha paura di andare in territori sconosciuti. È un visionario, veicolato da un’energia positiva e si accende nella scoperta e nell’esplorazione».
Che altro vorrebbe provare in futuro?
«Mi piace l’idea di unire il pianoforte classico con una voce che viene dal rap. Ora sto collaborando con Davide Rossi, un violinista che ha suonato anche con i Coldplay. È il musicista italiano più prolifico per le collaborazioni internazionali. Un sogno che si è avverato. E sto lavorando al nuovo album, una parte feconda nata da “Urban Impressionism”. Non voglio esaurire subito questo viaggio catartico che parte dalle nostre ferite e che, grazie alla musica, all’arrivo ti porta a essere una versione migliore di noi. È un’esperienza diversa dal 99% della proposta musicale che c’è, nel bene e nel male».
30 giugno 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA