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Dame Sarr, i primi giorni nel basket statunitense: «Quando mi vedo allo specchio con la maglia della Duke mi sembra incredibile»

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«Quando la mattina mi vedo allo specchio con addosso la maglietta della Duke mi sembra ancora incredibile. Mi fermo qualche secondo, quasi per controllare che sia tutto vero. Sono arrivato qui un paio di settimane fa. Prima abbiamo fatto i test fisici e poi abbiamo iniziato gli allenamenti. Per me è un sogno che si avvera. So già che ci metterò tutto me stesso come ho sempre fatto nelle prove che ho affrontato finora». Ha pensieri da 19enne ma una grande maturità di fronte alle sfide della vita e alla gestione dello stress Dame Sarr, campione di basket nato a Oderzo, nel Trevigiano. Il giovane, già arruolato a 16 anni nelle fila del Barcellona, da poco si è trasferito negli Usa per studiare alla Duke University a Durham e giocare nel campionato universitario Ncaa, quello dal quale vengono pescati i talenti Nba, la lega di pallacanestro professionistica del Nord America.

Cosa vuol dire per lei essere lì?
«Sono felicissimo. Ho lavorato duro, questo è sicuro. Diciamo che è la parte più importante. Tanti giocatori hanno qualità ottime, quello che cambia davvero è la mentalità con cui affronti gli allenamenti e quanto ti impegni. A me piace allenarmi, mi sento me stesso quando gioco. La differenza l’ha fatta quello, credo».

Ci sono stati momenti difficili?
«Certo. È impossibile che non ci siano ma è questione di allenamento. Impari ad affrontare le prove, a perdere e a rialzarti. Ho imparato che se hai un sogno non devi ascoltare mai chi ti dice di mollare, di lasciar perdere, chi ti dice che non puoi farcela. Se hai un sogno lo devi tenere davanti agli occhi e sapere di aver dato il tutto per tutto per non avere rimpianti».

Parole sagge nonostante la tua giovane età.
«È grazie allo sport e poi sono cresciuto anche io. I primi anni è stato più difficile e mi hanno supportato molto i miei genitori. Vivere da soli a 13 anni non è semplice. Ero lontano dalla mia famiglia ma parlavamo molto insieme al telefono. Io quando mi sento in difficoltà tendo a chiudermi ma loro mi conoscono. Quando ero giù di morale mi hanno sempre detto di continuare a lavorare, che il risultato arriva col duro lavoro e così ho fatto».

Com’è cominciato tutto?
«Con il basket Oderzo. A 6 anni ho iniziato ad allenarmi, a 13 mi hanno chiamato a Bassano. Con la mia famiglia abbiamo deciso di cogliere l’opportunità e sono andato in foresteria lì frequentando la terza media e i primi due anni di superiori a Bassano. Lì sono stato notato dagli osservatori del Barcellona che mi hanno portato in Spagna prima nel settore giovanile e poi in prima squadra. Ho debuttato con la nazionale nel novembre 2024 e all’Eurobasket 2025. Trasferirmi a Barcellona non è stato facile, avevo 16 anni e intorno a me vedevo dei talenti incredibili giocare in campo. Non conoscevo la lingua, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Un po’ alla volta sono riuscito a trovare il mio posto».

È stato difficile studiare e allo stesso tempo fare sport a questo livello?
«Non è semplice, va detto. Io sono sempre stato seguito da persone incaricate di supportarmi e questo mi ha aiutato molto. Anche io però mentre studiavo tenevo i piedi per terra. Agli studenti sportivi direi di tenere costantemente un occhio al futuro. Non si rimane per sempre ad altissimi livelli, sempre che ci si arrivi. Anche per questo sono molto felice di essere ora alla Duke university, un’università così importante sarà un ottimo bagaglio».

Ora lei è una promessa, qualcuno guarda all’Nba…
«Io continuerò a giocare come ho fatto finora, a dare tutto. Non ho mai pensato al futuro a lungo termine, ho tenuto il focus sugli allenamenti giorno dopo giorno. Così i miglioramenti sono arrivati passo dopo passo e poi sono arrivate le opportunità».

I suoi genitori sono arrivati in Italia dal Senegal, hanno affrontato prove difficili, questo è stato di esempio per lei?
«Sicuramente. È qualcosa che ho vissuto anche io sulla mia pelle. Non sempre è stato facile per noi, anche economicamente. Ma i miei genitori sono dei gran lavoratori. Li ho sempre visti tirarsi su le maniche e fare fatica per provare a darci tutto, lo facevano per noi figli. Non è una cosa che si può spiegare e vederla lascia il segno. Ho visto il loro modo di fare e ho imparato che la fatica alla lunga paga. E che se vuoi veramente una cosa non puoi permettere a nessuno di dirti che non puoi ottenerla».

Cos’è per lei il basket oggi in una frase?
«Uno sfogo, un sogno e qualcosa che mi fa star bene che mi rallegra le giornate. Il mio presente. Fin dal mattino, guardandomi allo specchio con quella t-shirt (ride)». 


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13 luglio 2025

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