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Dai marines inviati a Los Angeles al caso Sidney Sweeney: lo show di Trump tra (grosse) sparate e retromarce

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L’ultima di Donald Trump è lo spettacolo inscenato dal tetto della Casa Bianca, con la gestualità a simulare missili nucleari lì sopra. Funziona sempre. Il Trump-show è inarrestabile, la sua efficacia è un punto fermo in una stagione di incertezze. Da quando entrò in politica — nelle primarie repubblicane dieci anni fa, sembra un secolo — The Donald ha sempre avuto questa capacità. Si sveglia (presto) la mattina, e decide di cosa parleremo quel giorno. Ci riesce quasi sempre, ha un talento da showman per catturare l’attenzione generale, dettare l’agenda. I media, l’opposizione, anche tante opinioni pubbliche all’estero: quasi tutti finiscono risucchiati nel vortice che lui crea.

Avevamo avuto la prova generale di un colpo di Stato militare, o qualcosa di simile nella narrazione prevalente: i marines a Los Angeles quando la California era l’epicentro di proteste contro le espulsioni di immigrati illegali. Durata poco anche quella: i marines sono tornati da tempo nelle loro caserme, in California il governatore democratico Gavin Newsom ha ripristinato l’ordine pubblico, il golpe è rinviato.

Nel frattempo le ragioni per agitarsi si sono spostate. Il giro di vite contro la cultura «woke» nelle università di élite (Harvard, Columbia) ha fatto gridare all’attentato contro l’autonomia accademica.

Lo scandalo per le «carte segrete» del defunto stupratore e pedofilo Jeffrey Epstein ha indispettito perfino la base trumpiana (convinta che la pista porti in casa Clinton).

Il caso Sidney Sweeney: è la giovane celebrity che Trump elogia, mentre sui social viene accusata di inneggiare all’orgoglio bianco perché la sua pubblicità per i jeans sembra alludere a un patrimonio genetico di qualità.

Infine la tempesta dazi, con Ursula von der Leyen «convocata» in una proprietà privata di Trump, il campo da golf in Scozia. La partita è ancora aperta, molti dettagli delle intese annunciate — con l’Unione europea, con il Giappone — devono ancora essere definiti. Intanto si aprono nuovi fronti, tra i più caldi c’è l’India che Trump vuole convincere a furor di dazi a tagliare le sue importazioni di petrolio russo. In casa sua, per adesso poco danno, infatti l’opposizione democratica tace: il deficit commerciale con la Cina è sceso di un terzo, ai minimi dal 2004, mentre nelle casse del Tesoro sono già entrati cento miliardi. 

C’è qualcosa di nuovo sotto il sole? Otto anni fa a quest’epoca, dov’eravamo? Il Trump Uno dava scandalo per la costruzione del Muro con il Messico: un gesto simbolico, non rivoluzionario (il primo pezzo di Muro era stato costruito dal democratico Bill Clinton), di scarsa portata pratica. 

C’era il polverone del Muslim Ban, teso a limitare gli ingressi da alcuni Paesi di religione islamica: bocciato dai tribunali Usa, come peraltro continua ad accadere per molti decreti presidenziali del 2025. Era già visibile nel primo mandato la «sindrome del torero»: Trump agita un drappo rosso, tutti si avventano a testa bassa, l’attenzione va dove lui decide di dirigerla.

I mercati globali sono una vistosa eccezione. Lo storico britannico dell’economia Adam Tooze — un anti-trumpiano doc — sottolinea questa anomalia: l’indice di volatilità Vix, detto anche «termometro della paura», quello che misura sui mercati finanziari l’incertezza e il rischio, si è calmato molto da gennaio. Si direbbe che gli investitori globali siano assuefatti allo show, e sappiano distinguere tra il caotico accavallarsi di colpi di scena, e la realtà sottostante.

Trump si gode un altro spettacolo: la sinistra radicale continua a dominare la scena nel partito democratico. Dopo la sua New York, anche Minneapolis vede prevalere nelle primarie democratiche un giovane candidato socialista per l’elezione a sindaco. Se c’è una cosa su cui il 47esimo presidente punta, è la prevalenza degli estremi. Lo show può continuare.

7 agosto 2025

7 agosto 2025

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