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Bisha (Arabia Saudita) – Se la Dakar è la gara più eroica del campionato mondiale rallycross (e di molti altri) una ragione c’è. Sarà perché vedere volare le auto sulle dune del deserto saudita a 170 chilometri orari di velocità sembra un miraggio, sarà il fascino dell’assenza di un vero e proprio tracciato da seguire perché ciascun equipaggio deve trovarsi la strada meno accidentata per arrivare prima al traguardo o sarà perché, nei giorni della gara, il deserto si trasforma in una metropoli dove persone da tutto il mondo si incontrano per gareggiare. Quest’anno anche Dacia ha deciso di prendere parte alla competizione con tre vetture, le Sandrider, e tre equipaggi: Nasser Al-Attiyah ed Édouard Boulanger, Cristina Gutiérrez e Pablo Moreno, Sébastien Loeb e Fabian Lurquin.
L’incontro con il pilota Nasser Al-Attiyah
Si parte da Bisha, nell’ovest dell’Arabia Saudita, e si arriva a Shubaytah, a est, con un giorno di riposo a Hail. «La Dakar è perfetta per lo spirito del nostro marchio: robusto, dedicato a chi ama vivere all’aria aperta e affidabile», dice Denis Le Vot, Ceo di Dacia, mentre camminiamo nel campo base allestito nel deserto per raggiungere il “box” dove le tre Dacia Sandrider sono circondate da decine di meccanici per la messa a punto prima della partenza. Ad attenderci davanti alla sua auto c’è Nasser Al-Attiyah, un veterano della Dakar: «Sono nato in Qatar (è anche membro della famiglia reale qatariota, NdR) e corro nel deserto da quando ero ragazzo, ma ogni partenza ha un suo brivido diverso». Nasser è uno di quei personaggi nati per il podio: ha vinto cinque volte la Dakar, diciannove volte il campionato rally del Medio Oriente ed è campione olimpico di tiro al piattello con una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra del 2012.
Resistente e semplice da riparare
«Quest’auto incarna lo spirito di Dacia. È nata per essere pratica, intelligente e robusta: la resistenza è la sua dote migliore ed è stata progettata per essere semplice da riparare – continua Nasser –. Un esempio? Le due gomme di scorta sono posizionate in due vani trasversali al posteriore ma in basso per consentirci di tirarle fuori velocemente e senza troppi sforzi in caso di foratura nel deserto. E, vi assicuro, capita molto spesso». Ispirata alla concept car Dacia Manifesto, la Dacia Sandrider è lunga 4,14 metri, larga 2,29 e alta 1,81. Sotto al cofano c’è un V6 biturbo 3.0 con 360 cavalli di origine Nissan, una coppia di 539 newtonmetri: il tutto è gestito da trazione integrale, immancabile nel deserto, e cambio sequenziale a sei rapporti.
Com’è fatta l’auto
Le regole del campionato prevedono che le vetture abbiano un telaio tubolare che i progettisti Dacia hanno ricoperto di pannelli in fibra di carbonio con alcuni accorgimenti per agevolare la vita dei piloti che al termine della Dakar pesano addirittura quasi cinque chili in meno. Il parabrezza, ad esempio, è molto largo per migliorare la visibilità e il cofano ha un taglio attraverso il quale è possibile guardare se ci sono buche o avvallamenti, mentre sotto le portiere sono stati ricavati due vani per contenere pezzi di ricambio e strumenti meccanici. «Prima di partire speriamo sempre di non doverli usare, ma le speranze non si avverano mai!», conclude Nasser.
7 gennaio 2025 (modifica il 7 gennaio 2025 | 17:47)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
7 gennaio 2025 (modifica il 7 gennaio 2025 | 17:47)
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