
Trascorsi tre giorni dalla morte di papa Francesco, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ritenuto di dover interrompere con poche parole un suo silenzio apparso come gesto di asprezza verso il Vaticano. «Lo Stato di Israele esprime le sue più sentite condoglianze alla Chiesa cattolica e alla comunità cattolica in tutto il mondo per la scomparsa di papa Francesco. Possa riposare in pace», ha dato disposizione di scrivere su internet Netanyahu incaricando il suo ufficio di farlo notare. Che le autorità israeliane fossero impegnate a mandare segnali distensivi lo conferma questa intervista con l’ambasciatore dello Stato ebraico Yaron Sideman, accreditato presso la Santa Sede dal settembre scorso.
Ambasciatore, domani lei andrà ai funerali in piazza San Pietro. Sarà lei a rappresentare Israele?
«Sì. Sono il suo funzionario più alto presso la Santa Sede e lo rappresenterò ai funerali. Come sa, il sabato è per il popolo ebraico un giorno sacro nel quale chi rappresenta ufficialmente lo Stato d’Israele non è autorizzato a esercitare alcuna attività. Che io abbia ricevuto istruzioni di partecipare alle esequie dimostra l’importanza e il significato che lo Stato di Israele attribuisce al tributare rispetto e condoglianze al Papa».
Da parte di Netanyahu, che ai funerali non parteciperà, era stata notata l’assenza di condoglianze. Sul «Corriere» la presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche Noemi Di Segni ha detto che «capire questo silenzio» per lei è «difficile». Lei come spiegherebbe i giorni di silenzio?
«Non c’è stato silenzio. Il presidente di Israele, il suo primo cittadino, che è capo dello Stato e dunque l’equivalente del Pontefice per il Vaticano, ha diffuso un messaggio appassionato e dettagliato».
Si riferisce al testo nel quale Isaac Herzog ha affermato che Papa Francesco «è stato un uomo di profonda fede e di compassione senza limiti che ha dedicato la vita a elevare i poveri e a invocare pace» e «ha avuto un ruolo molto importante nel rafforzare i legami con il mondo ebraico»? Restava valido?
«È il messaggio del quale parlo. Certo che era valido. Riflette le condoglianze dello Stato ebraico e se non erro è stato tra i primi a venire diffusi. Non c’è stato silenzio. Ieri sono andato a San Pietro per la salma del Papa. Direi…».
Dica.
«Devo dirle che in base ai programmi originari in questi giorni di ricordo di vittime della Shoah era previsto fossi in Israele per ricordarle con mio padre. Ho cancellato il viaggio. Assegniamo molta importanza al rispetto per il Pontefice. Per rendere l’idea, talvolta all’Onu Israele non ha votato perché le deliberazioni erano di sabato. Durante lo Shabbat la delegazione non era autorizzata a partecipare».
Il quotidiano israeliano «Yedioth Ahronoth» ha riportato online che alcuni suoi colleghi «hanno ricevuto istruzioni di non firmare libri di condoglianze nelle rappresentanze diplomatiche vaticane nel mondo».
«In tutto il mondo i nostri ambasciatori stanno firmando i registri di condoglianze». Comunque l’assenza di messaggio di Netanyahu c’era stata. Quale ne è a suo avviso l’origine? Perché papa Francesco non escluse l’uso della parola «genocidio», impropria, per le tante morti di palestinesi nella guerra di Gaza, cominciata da Hamas con i massacri di israeliani il 7 ottobre 2023?
«La domanda porta da una parte sbagliata. Lo Stato d’Israele non è in silenzio».
È vero che attraverso canali diplomatici in passato Israele ha protestato con il Vaticano per le telefonate di papa Francesco alla parrocchia di Gaza, conversazioni fatte ascoltare da padre Gabriel Romanelli ad abitanti cattolici della Striscia?
«No, nulla del genere. Era molto legittimo che il Papa lo facesse».
Come ricorda il Pontefice?
«Molto gentile, umile, di personalità, guidato dai suoi impegni a rendere migliori l’umanità e l’ambiente. Domenica scorsa nel suo ultimo intervento pubblico, prima della morte, ha sottolineato sia la necessità di combattere l’antisemitismo sia quella di far rilasciare gli ostaggi da Gaza. Spero che questo abbia eco ancora e ancora da parte della Chiesa cattolica, augurandomi che l’appello sugli ostaggi possa essere non più necessario perché il loro ritorno sia avvenuto e in salvezza».
Papa Francesco sosteneva anche che occorre fermare i bombardamenti israeliani su Gaza.
«Non ho sentito queste parole domenica. Se parliamo di Gaza, di sicuro una volta restituiti gli ostaggi ed esclusa Hamas dalla scena la situazione cambierà. Fino ad allora dovremo esercitare il nostro diritto all’autodifesa».
Quali incontri con il Papa le rimangono più in mente?
«Quando ha ricevuto familiari di ostaggi. Tre volte».
25 aprile 2025
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