
La penisola di Crimea torna alla cronache come quasi mai è stato dall’aggressione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. Il motivo va ricondotto a ciò che sappiamo del nuovo piano di pace americano, dove gli Stati Uniti s’impegnano a non più condannare l’occupazione militare della Crimea voluta da Putin nel febbraio 2014 e addirittura a riconoscere de jure la sua annessione ai territori della Federazione Russa avvenuta il 18 marzo di quello stesso anno. Inoltre, di ritorno negli Usa dal suo incontro in Vaticano con Zelensky sabato scorso, ancora Trump ha dichiarato che, a suo giudizio, il presidente ucraino sarebbe «disponibile» ad accettare almeno de facto la presenza russa nella penisola in cambio di un solido trattato di pace.
Ufficialmente Kiev non commenta, tra i dirigenti ucraini resta evidente l’intenzione di evitare lo scontro diretto con la Casa Bianca. Anche se ufficiosamente nei circoli della presidenza si ricordano le parole ribadite da Zelensky ancora alla metà di settimana scorsa, in cui si sottolinea che lui o qualsiasi altro governo non hanno alcuna autorità per rinunciare alla Crimea, perché, chiarisce: «sarebbe contrario alla nostra Costituzione». Un compromesso possibile, in cambio di solide garanzie internazionali, potrebbe essere il riconoscimento ucraino temporaneo de facto, «congelando» sino a un quindicennio lo status attuale della penisola e rinviando a più tardi i negoziati finali, come del resto Zelensky proponeva già prima della guerra. A tagliare la testa al toro ci pensano però al Cremlino, visto che ieri il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha ribadito che la precondizione «irrinunciabile» per Mosca è il riconoscimento della legittima sovranità russa non solo della Crimea, bensì anche delle altre quattro regioni parzialmente occupate di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia.
Detto questo, resta evidente che il capitolo Crimea rappresenta un microcosmo concentrato del conflitto. I gruppi nazionalisti vedono nella penisola un baluardo dell’identità ucraina. Abitata dai tatari musulmani e da altre minoranze regionali, ma anche da greci, ebrei, italiani, nel 1784 venne conquistata e annessa alla «madre Russia» dalla zarina Caterina. Sebastopoli divenne il porto di riferimento per la flotta russa del Mar Nero. Stalin nel 1944 espulse oltre 200.000 tatari e tutti coloro che erano stati alleati dei tedeschi. Nel 1954 Nikita Krushev la annesse alla repubblica ucraina, che comunque era allora parte integrante dello Stato sovietico. Dopo l’implosione dell’Urss e la nascita dell’Ucraina indipendente nel 1991 tutto ciò che riguarda la demografia e lo status della Crimea diventa altamente controverso. Al primo referendum la maggioranza dei suoi abitanti sceglie di stare con Kiev, anche se in proporzione minore che nel resto del Paese. Le truppe speciali di Putin la occupano con un colpo di mano indolore nel febbraio 2014. Il neonato esercito ucraino, impegnato nel Donbass, non ha la forza per riprenderla. I russi costruiscono il ponte di Kerch per collegarla con la madrepatria e nel 2022 completano l’opera. La questione resta aperta.
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29 aprile 2025
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