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Cosa resta di Gaza, i numeri della distruzione

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Dopo la notizia che Benjamin Netanyahu sarebbe pronto a ordinare l’occupazione di tutta Gaza, riproponiamo un articolo su quello che resta della Striscia, dopo 625 giorni dall’inizio della guerra.

 «Paesaggio lunare», dice chi non è di Gaza. Chi ha visto, racconta di uno scenario surreale, una distesa di terra ricoperta da polvere un po’ grigia e un po’ marrone. Crateri di varie dimensioni, resti di palazzi, montagne di detriti a ricordare dove stavano le case, gli alberghi, i ristoranti, le scuole, le moschee. Non ci sono quasi alberi. «Gaza è terra stuprata», scrive un operatore umanitario. Chi è nato lì, invece, parla ancora della sua bellezza: «Il mar Mediterraneo, le palme rigogliose». Bellezza devastata, certo, ma pronta a essere ricostruita. Perché «ricostruire» è il verbo più caro ai palestinesi, soprattutto in queste ore in cui sperano e pregano perché venga firmato un accordo di tregua.

Oltre seicento giorni dopo l’inizio della guerra, 100.000 tonnellate di esplosivo dopo, sono 60 mila le persone uccise dall’esercito di Netanyahu, di cui almeno la metà donne e bambini: una media di 1.500 morti al mese. Se i numeri giganteschi di questo conflitto rischiano di oscurare nomi, storie e sogni, disumanizzando e banalizzando la devastazione che ha sommerso la popolazione della Striscia dopo il 7 ottobre — dall’attacco terroristico di Hamas che ha ucciso 1.200 israeliani e ne ha rapiti 250 —, restituiscono anche un quadro chiaro del disastro in corso. Come segnala un report dell’Ispi che ha messo insieme dati provenienti da diverse fonti ufficiali, dallo scorso aprile le Nazioni Unite hanno stimato che oltre il 70% di tutti gli edifici di Gaza è stato danneggiato. Tra questi, il 28%, più di un terzo, è stato completamente distrutto. Oltre ottocento le moschee

La Striscia di Gaza seicento giorni dopo l'attacco di Hamas: non ci sono più alberi. Circa la metà dei morti sono donne e bambini 

Fino alla prima metà del conflitto, gli attacchi sono avvenuti soprattutto nella parte Nord della Striscia, nel governatorato di Gaza City. Con il passare dei mesi, l’esercito israeliano ha colpito duramente anche il governatorato di Rafah, a Sud. Quasi l’80% degli ospedali e cliniche è stato danneggiato o distrutto e sono stati circa 720 gli attacchi alle strutture sanitarie che hanno fatto 950 morti: tra le vittime, più di un centinaio sono medici e infermieri. Gli oltre due milioni di gazawi si trovano in una situazione di insicurezza alimentare tra le più gravi al mondo

Il blocco completo degli aiuti durato due mesi, ha portato il 93% a vivere quella che viene definita una crisi alimentare, con il 12% che si trova in condizioni «catastrofiche». Secondo il ministero della Salute gestito da Hamas, il numero totale di persone decedute per cause legate alla fame dall’inizio della guerra è ora di 181, tra cui 94 bambini.  
Prima della guerra, a Gaza entravano circa 600 camion di aiuti al giorno, nel corso delle ultime due settimane, da quando il governo di Benjamin Netanyahu ha riaperto i cancelli, ne sono entrati circa 400: niente rispetto alle necessità delle persone affamate e disperate che si accalcano nei centri di distribuzione ora gestiti dalla privata Gaza Humanitarian Foundation: «Questo nuovo sistema militarizzato non soddisfa i bisogni né la dignità della popolazione, la mette a rischio e viola i principi umanitari», commentano dalle Nazioni Unite. Intanto, Angelo Rusconi di Msf che si trova a Gaza City invia una foto del braccio di un bambino con la circonferenza simile a quella di un dito.

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Dal 18 marzo, dalla fine della tregua, oltre 632.000 persone sono state nuovamente sfollate. Dall’inizio di maggio, almeno 28 operatori umanitari sono stati uccisi: il numero totale arriva a 452. Sono venti mesi che circa un milione di minori non va a scuola. Sono due anni che 700.000 donne stanno affrontando un’emergenza igienica mestruale silenziosa, con gravi conseguenze per la loro salute.

5 agosto 2025

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