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Cosa pensa oggi la classe operaia che ha votato Trump? Una testimonianza

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Donald Trump è alla Casa Bianca perché ha conquistato, tra gli altri, una maggioranza di voti operai, ivi compresa una percentuale crescente di lavoratori neri e latinos. Non è il primo leader repubblicano a riuscirci nella storia americana, tra i precedenti importanti ricorrono sempre gli stessi due nomi: Richard Nixon e Ronald Reagan. 

Le cause dietro lo spostamento a destra dei ceti lavoratori sono molteplici. Fin dai tempi di Nixon gli operai americani sono in media molto più inclini al patriottismo, rispetto alle élite intellettuali che tendono a ripudiarlo. Gli operai si considerano in genere danneggiati e discriminati da certe politiche che la sinistra ha promosso in favore di minoranze etniche o di gender (questo vale anche per gli operai di colore che si sentono trascurati dalle attenzioni dei progressisti verso gli immigrati illegali). Ha un peso anche l’atteggiamento verso la religione e la famiglia tradizionale.

C’è un altro messaggio di Trump che ha fatto breccia: reindustrializzare l’America. Questo obiettivo, questo slogan, piace agli operai non solo per ovvie considerazioni d’interessi e di protezione: per decenni i lavoratori manifatturieri si sono visti sacrificati a vantaggio di altri settori, ceti e categorie che si sono arricchiti con la globalizzazione. 
C’è pure un aspetto valoriale: molti lavoratori manuali associano la «produzione di cose» a un modello etico più sano e più equilibrato. Infine c’è la questione della sicurezza nazionale, esplosa con la massima visibilità durante la pandemia. Nella seconda guerra mondiale, una ragione per cui alla fine l’America trionfò sui nazifascismi fu la sua capacità di produrre cose – acciaio, pallottole, carriarmati, aerei, navi – assai superiore a Germania Giappone Italia. 

Oggi la Cina sovrasta il mondo intero con i suoi altiforni siderurgici, i suoi cantieri navali, le sue fabbriche automobilistiche, eccetera eccetera. L’America resta numero uno nei servizi e nel digitale, ma in caso di guerra sarebbe pericolosamente scoperta, dipendente, vulnerabile, in troppi settori essenziali. Del resto la Cina sta dimostrando che si può perseguire una strategia a 360 gradi per inseguire il numero uno (l’America) nelle tecnologie più avanzate, senza per questo rinunciare a produrre “cose”.

Ma è credibile Trump come stratega, regista, artefice di una reindustrializzazione? Le politiche da attuare a questo fine sono tante. Il dubbio fondato è che lui abbia delle finalità a volte giuste in linea di principio, ma sia scarso nell’attuazione e nei dettagli. Perciò trovo istruttiva la lettura di questa testimonianza: scritta da un operaio che ha votato per Trump, pubblicata sul sito Commonplace Substack, riferisce un dialogo con un altro operaio trumpiano già in parte deluso. Eccone qui di seguito degli estratti:

«Voglio credere nella nuova spinta dei conservatori a rappresentare la classe lavoratrice» mi ha detto il mio amico Luke verso la fine di una conversazione di qualche giorno fa. «Ma» ha aggiunto, «temo che i conservatori finiranno per fare quello che i politici hanno fatto agli americani della classe operaia per decenni.»
E cioè?, ho chiesto.
«Offrirci una serie di mezze misure, poi stufarsi di noi, e alla fine fregarci tutti alla grande» ha risposto.
Questa conversazione è scaturita dopo che ho menzionato a Luke che a fine mese sarei andato a Washington D.C. 

Luke è un operaio specializzato, lavora nell’edilizia. Ha votato Trump nel 2016, Biden nel 2020 e di nuovo Trump nel 2024. Ho chiesto a Luke se crede che l’amministrazione Trump finirà per realizzare cambiamenti significativi per gli americani della classe lavoratrice.
Per Luke la chiave è sapere come funziona «la macchina» e usarla per favorire la mobilità sociale della classe operaia americana, ferma da troppo tempo.

«Tu e io non siamo andati al college» mi dice. «Ogni adulto nelle nostre vite ci aveva detto che saremmo morti se non fossimo andati al college. Ma, qualunque fossero i motivi, io non ci sono andato. Non ho bighellonato, né fatto festa, né fatto l’adolescente per un decennio in più. Ho cominciato a lavorare subito. Mi sono sposato da giovane. Ho messo su famiglia. Ma mi sento come se non stessi avanzando».

Luke e sua moglie hanno due figli e ne vorrebbero un terzo, ma i costi per allevare i bambini li schiacciano. Vorrebbero trasferirsi dalla loro prima casa. I tassi d’interesse e i prezzi delle abitazioni sono troppo alti. Lui e sua moglie vorrebbero che lei potesse restare a casa con i bambini, ma hanno ormai rinunciato a questa prospettiva. Luke vuole vedere un partito politico che lavori davvero per creare un ambiente economico favorevole alla mobilità in ascesa della classe lavoratrice. Mi ha detto che è l’unico motivo per cui ha votato Trump nel 2024: pensava che Trump avesse la stoffa per provare a cambiare lo status quo.

Luke non è infelice né ingrato per ciò che ha. Ama la sua vita e la sua famiglia. Vuole dare a chi gli è vicino più opportunità e migliori possibilità di scelta. Teme che l’attuale amministrazione sia un po’ ingenua, o miope, nella sua fretta di creare le giuste condizioni di mercato per la crescita industriale senza avere un piano per rafforzare e valorizzare la manodopera necessaria a sfruttare quella crescita. «Tutti sappiamo degli accordi commerciali e dei dazi che portano soldi. Ma dopo?» chiede Luke. «Se sta arrivando una ‘età dell’oro’, serve una leadership politica che comunichi la sua visione per la classe operaia americana. Non sembra che ci sia un piano per preparare i lavoratori americani alla crescita che questi accordi commerciali e cambiamenti politici sperano di produrre».

Sono d’accordo: non sembra esserci oggi un piano chiaro. Non che sia impossibile, ma non c’è una visione coerente comunicata alla forza lavoro americana per colmare il divario tra un’America deindustrializzata e una futura America reindustrializzata. Qual è il piano per formare e mobilitare la massa di lavoratori necessaria a un forte aumento della capacità industriale? Qual è il piano per aumentare la mobilità, ridurre l’alto costo della vita e incoraggiare la crescita delle famiglie dei lavoratori? Le imprese che aprono stabilimenti in America vogliono trovare una forza lavoro pronta. Non temo solo l’assenza di una visione chiara su come formare i lavoratori di cui avremo bisogno. Temo che non siamo nemmeno in grado di costruire le strutture dove li impiegheremmo. Con Luke abbiamo discusso lo stato caotico del nuovo impianto Intel (microchip) vicino a casa nostra. Il progetto avrebbe dovuto essere operativo almeno in parte nel 2025. Ora è rinviato al 2030 o al 2031, forse.

«Com’è possibile che lo Stato e il governo federale non siano furibondi per questa vicenda?» si chiede Luke, ricordando i grandi sussidi pubblici dati dall’amministrazione Biden a Intel. «Se quel progetto fosse completo e aprissero le assunzioni per gente come me, pagandomi qualche dollaro in più l’ora, mi cambierebbe la vita. Qual è il piano per riportare in carreggiata la costruzione della fabbrica? E il caos attuale scoraggerà altri produttori dallo sviluppare qui? Quanto c’era di irrealistico quando Intel ha firmato quell’accordo col governo?»

Politici e burocrati, che forse nemmeno capiscono i vincoli della costruzione o le difficoltà amministrative di questi progetti, hanno speso miliardi di dollari dei contribuenti e l’obiettivo gli sfugge da sei anni.

Ho detto a Luke che non bisogna disperare del tutto. Ho citato esempi di progetti riusciti come l’impianto TSMC in Arizona che è operativo. Ma il caso Intel è un campanello d’allarme. Il fatto che la politica crei l’ambiente favorevole per la manifattura non significa che la rinascita industriale sarà rapida o lineare. Ci vorrà tempo per costruire impianti e formare la forza lavoro. Non dobbiamo aspettarci troppa rapidità nella realizzazione della “seconda età dell’oro” promessa da Trump. Questa realtà rischia di far sentire persone come Luke tradite, se il tavolo promesso ai lavoratori americani resterà vuoto.

Per Luke e milioni di altri come lui, il timore è che l’amministrazione si concentri troppo sui cambiamenti macro necessari a favorire la crescita industriale, trascurando i cambiamenti micro altrettanto necessari.

L’autore di questo dialogo con Luke, Skyler Adleta, si firma «elettricista, cattolico, marito e padre».

26 settembre 2025

26 settembre 2025

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